“... Erano due ragazzi un po' strani, Irresponsabili. L’ aria circospetta con cui ti fissavano, il modo con cui ti fissavano, il modo di parlarti: non proprio da persone con la testa a posto” . Con questo crudele epitaffio, lo scrittore americano Richard Yates mette la parola fine alla tragica parabola della sua giovane coppia di “ non conformisti” : questo era il infatti titolo italiano della prima edizione del suo romanzo “Revolutionary Road”, da cui il regista Sam Mendes ha tratto il film uscito da noi con il titolo originario.
Frank e April Wheeler sono una giovane coppia della classe media americana con qualche segreto di troppo che corrode la loro levigata normalità.Nel loro quartiere ordinato e pulito, coltivano un benessere e uno stile di vita, che desta l' ipocrita ammirazione dei loro vicini di casa. Hanno abitudini eguali agli altri, ma con una inquietudine che li rende interessanti: April sfoga nella filodrammatica le proprie ambizioni artistiche, lui fa l' impiegato in una ditta privata, mentre sogna l' occasione che gli apra la strada ad una rivoluzione personale e lo distingua dai colleghi noiosi.
La noia non si nasconde
A nascondere la noia non basta né il bere né le modeste avventure extraconiugali di tutti e due , finchè la prospettiva di un evento inaspettato sembra aprire tutti e due una via di fuga: e ovviamente, come accade spesso, la speranza del rivolgimento radicale è in un viaggio in terre lontane.
Sam Mendes ci aveva già raccontato questa America amara e inquieta, che gli scrittori realisti hanno esplorato dagli anni sessanta in poi, in American Beauty: ne era uscito un film troppo gridato, fracassone e un po' moralista. Qui ha scelto la strada opposta; ha impiegato le sue energie creative nel sottrarre ogni effetto eccessivo alla storia dei due protagonisti. Nel racconto di un doloroso fallimento coniugale ha attutito ogni esteriorità attraverso uno stile secco e rarefatto: alle liti furiose dei protagonisti , analizzate con sguardo freddo e analitico, si succedono placide ed inoffensive riunioni familiari, o rumorose tavolate di colleghi.
la noia può uccidere
Il bersaglio del film è evidentemente la normalità borghese, o meglio quella ancora più asfissiante di quell' universale “ ceto medio”, tipico di tutto l' occidente industrializzato: consumista senza essere ricco, con ambizioni culturali senza avere una cultura veramente profonda, ribelle senza uno scopo dignitoso per cui battersi.
Le ambzioni etiche del film non sono sovrapposte alla storia, ma emergono dalle movenze che il regista impone alla narrazione. La denuncia morale del regista viene amplificata dalla discrezione con cui segue i fallimenti dei suoi personaggi. Quando il dramma esplode , Mendes sa controllarlo con una forza inusitata: si veda tutta la sequenza finale, dedicatta alla protagonista, in cui l’ infelicità di April arriva al suo esito prevedibile, che il regista descrive con pochi tratti.
Si comprende allora il pregio migliore della storia: non si tratta soltanto della descrizione archeologica dell’ America benpensante degli anni cinquanta, ma la vicenda allude ad un modello di famiglia che possiamo considerare universale in Occidente. E’ un modello fatto di consumo più o meno opulento ( si noti la descrizione accuratissima della casa e dei suoi oggetti), di abitudini stereotipate e di relazioni umane prive di senso e di autenticità. Servito dalle prestazioni eccellenti di due attori come Di Caprio e Kate Winslet, il regisat riesce a raccontarci il fallimento di tutti. Se uscendo dal cinema provate un brivido, non meravigliatevi: vi siete guardati in uno specchio che non mentiva.
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