Nella
tradizione teatrale tra Medioevo e Rinascimento, l' oratorio ha una lunga ed
affascinante storia. Questa forma di rappresentazione, dedicata a temi religiosi e spirituali, non aveva una
struttura di tipo realistico, ma attraverso il dialogo tra diverse voci esemplari rappresentava il percorso
interiore dell' uomo verso Dio. Il
film di Ermanno Olmi ha una struttura che richiama la forma dell' oratorio. In una chiesa
sconsacrata, presieduta solo da un vecchio sacerdote, compaiono un gruppo di immigrati
clandestini, ricercati dalla polizia. In pochi
minuti, entrano in scena diverse figure che esemplificano
i vari aspetti dei dilemmi posti dall' arrivo dei migranti.
Nel
racconto non vi è una vera evoluzione
psicologica dei personaggi e la costruzione narrativa è abbastanza esile. Il
portatore di una visione fondata sul
dialogo e l' integrazione tra le culture si scontra con i seguaci della violenza e della lotta
all' Occidente: silenziosi e discreti assistono a questo scontro gli anziani,
le donne e i bambini. Dall' altro lato, il sacerdote, dilaniato dall' angoscia
per una chiesa priva di funzione, trova un nuovo senso in quella piccola
comunità provvisoria, che chiede di non
essere denunciata e rimandata verso una morte sicura.
Il
religioso li difende dalla polizia e trova per loro tutto l' aiuto possibile.
L' alba non porterà una
conclusione, ma nuovi interrogativi. Una frase epigrammatica conclude la breve
vicenda: " Se
noi non saremo capaci di cambiare, la
storia cambierà noi". Questa affermazione
rende bene il senso del racconto. Olmi, che aveva deciso di non fare più
film, ma solo documentari, era mosso da un urgenza profonda.
L'
immigrazione pone agli uomini dell' Occidente
la necessità di un vera e propria conversione. I migranti, con il loro
bisogno di riconoscimento, ci costringono ad abbandonare l' edificio sicuro
delle nostre certezze. Che cosa deve fare un cristiano ( e di più, ogni essere
umano) di fronte a uomini assetati o a rischio di morte ? La risposta che il vecchio
sacerdote trova è radicale: " Il bene è più importante della fede" o
- se si vuole - la fede senza la carità
non ha significato.
Il
film non è dedicato quindi all'
immigrazione, ma a noi stessi, alle
nostre ipocrisie.
Ha
detto il regista in una delle sue interviste: " Non credo più alle
chiese religiose, laiche e culturali... Altro non sono se non il luogo
in cui ci rassicuriamo, demandando ad esse di occuparsi di noi". Non
si pensi che la tensione etica e religiosa abbia fatto velo alle doti stilistiche del regista, costringendolo
alla retorica. Olmi ha costruito il suo
film secondo un rigoroso gioco di relazioni
simboliche. La vicenda è racchiusa nello spazio ristretto delle stanze della
chiesa e la macchina da presa lavora sull' espressività dei volti e la forza
evocativa delle immagini: le tende dei migranti, che alludono a quelle
del presepio, i rumori e la musica
che hanno in questo film una funzione precisa. In sintesi, un film da non mancare.( In uscita sul prossimo numero di Confronti )
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