" Adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente, come perfettamente sono conosciuto. Ora esistono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità; ma la più grande di esse è la carità" ( S. Paolo, 1° lettera ai Corinzi 13,1 )

sabato 11 dicembre 2010

Volontariato e terzo settore nella crisi sociale

Un' inchiesta in varie puntate sul mensile Confronti ha sondato nei mesi passati il rapporto tra volontariato e dibattito etico: soggetti diversi: politici interessati al sociale come Massimiliano Smeriglio e Augusto Battaglia, intellettuali e operatori di diverso orientamento culturale. Pubblico qui una sintesi delle conclusioni, in uscita sul prossimo numero.


Il fenomeno del volontariato e del terzo settore si afferma a meta degli anni ottanta, quando la crisi del welfare state e il crollo delle ideologie del socialismo reale aprono una nuova fase che alle classi dirigenti italiane ed europee appariva del tutto trasparente. Liberati i partiti dagli impacci burocratici dello Stato sociali, liberate le idee dai vincoli dei progetti globali e ideologici, la società si avviava ad uno sviluppo razionale, fondato su due pilastri, che oggi possiamo vedere più criticamente: un' idea darwiniana del mercato e una riduzione delle idee e dei sistemi di valori all' empirismo delle opportunità.
I temi drammatici della povertà, dell'emarginazione ecc. erano letti come fenomeni residuali di uno sviluppo assunto come neutrale. In questo universo compatto, frutto di un'ideologia opaca, il terzo settore si colloco negli anni novanta con alcune parole d'ordine positive, che cercavano un confronto con la politica, la cultura e le chiese: diritti di cittadinanza, inclusione, nuove povertà. In alcuni settori come la salute, l' immigrazione, la disabilità, ecc. il volontariato cominciò a svolgere funzioni di supplenza per interventi che la mano pubblica non riusciva più a portare avanti. Il sociale divenne occasione di impegno etico e poi di lavoro per migliaia di giovani, ma anche uno strumento di scambio politico ( con effetti non positivi a medio termine).


Tra crisi delle ideologie e emergenze sociali


Si inserirono in questo flusso settori del mondo cattolico che guardavano al sociale come luogo di una rinnovamento radicale della società: si pensi alla figura di un precursore come Mons. Luigi Di Liegro. Nel febbraio del 1974, Don Luigi aveva stimolato un' iniziativa, che fu all'origine di molti dei cambiamenti successivi: il famoso convegno sui mali di Roma: "La responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di giustizia e di carità nella diocesi di Roma" , che evidenziò le ingiustizie sociali della capitale , insieme a coloro che ne erano stati responsabili.
In un processo più che decennale si aggiunsero militanti provenienti dalla crisi dei partiti storici e gruppi delle chiese protestanti italiane, che per ispirazione guardavano alla presenza sociale con sguardo forse più libero, potremmo dire “ europeo”. In sintesi, l' intento era duplice: progettare nuove soluzioni per alcuni drammi sociali e imprimere un profondo rinnovamento a tutta la comunità nazionale. Il terzo settore voleva insomma contare di più nella progettazione delle politiche sociali, e quindi nella vita collettiva.
Ma che cosa offriva questo mondo in cambio della propria richiesta di cambiamento sociale? Con una battuta sintetica, potremmo dire il lavoro. Con la crisi della grande fabbrica, si diffuse la convinzione che la sfera dei servizi alla persona e della tutela dell'ambiente fosse l’unica in grado di fornire in futuro una quota significativa di nuovi posti di lavoro. Ad una condizione - però- che non si verificò mai: un' adeguato sostegno pubblico.
Questo movimento complesso, che attraversava partiti, associazioni e chiese, registrò nel dibattito politico già alle soglie del 2000 una battuta d' arresto e un oscuramento Da un lato, sulla scia dei cambiamenti nelle forme di povertà e di emarginazione, il volontariato è stato costretto a specializzarsi. Ricorda Giuseppe De Rita: “.. Più si dilatano e frammentano i disagi sociali, più si professionalizza, settorializza e si tecnicizza l' intervento sociale” (AA.VV. Terzo settore: la fine di un ciclo, Edizioni dell'asino, 2010, p.31).
In questa settorializzazione si è depotenziata inevitabilmente una dimensione originale del volontariato: lo spirito comunitario e le istanze di progettazione e riforma sociale. Per paradosso, la crisi in corso, che investe il sistema economico, riporta ora al centro dell'attenzione la questione del sociale, con tutte le sue peculiarità originarie. Si diffondono in Italia ( e in tutta Europa) tendenze evidenti verso una vera e propria regressione civile all' interno di snodi importanti della vita collettiva.


Rischio di regressione civile


Basti indicarne almeno tre, che toccano da vicino la vita quotidiana delle persone. Il primo è la contrazione del lavoro: l' introduzione di nuove tecnologie nell' industria non provoca affatto un aumento di possibilità di impiego nel settore dei servizi alla persona, senza l' intervento di politiche pubbliche. Queste vengono considerate impossibili dai governi dei governi di centrodestra ( ma anche da quelli di segno opposto), a causa degli alti deficit pubblici. Pagano il prezzo di questa scomparsa delle occasioni di lavoro i giovani, ma anche categorie fragili come i disabili e i migranti. Si tende ad ignorare la quantità di spesa pubblica dirottata verso l' economia criminale, i parassitimi o le spese militari ( e il terzo settore lo ricorda spesso ma senza grande ascolto).
Un secondo aspetto è quello della convivenza nelle grandi metropoli tra cittadini italiani e extracomunitari. La precarizzazione del lavoro e il collasso di alcune agenzie collettive ( partiti, associazioni, sindacati) spingono segmenti ampi del mondo popolare verso un plebeismo razzista e una ghetizzazione rissosa. La metropoli si struttura sempre di più come un luogo di solitudini, marginalità e violenze crescenti, più diffuse ora che negli anni settanta. I partiti populisti e xenofobi vincono in Italia e in Europa, cavalcando questi temi.
Spesso non si tratta solo di una emarginazione economica: nelle periferie urbane circola, grazie alle nuove forme dell' economia criminale, una grande quantità di danaro. E' piuttosto un misto di degrado sociale, di povertà culturale e di consumismo esasperato., già descritto con feroce amarezza sociologica Walter Siti, nel suo romanzo sulle borgate romane “ Il contagio” ( Mondadori, 2008)
A questi due componenti ne va aggiunta una terza, che gli studiosi di politiche sociali conoscono da tempo. L' allungamento delle aspettative di vita produrrà una trasformazione impressionante della composizione sociale: secondo alcune statistiche, nei prossimi venti o trent'anni, gli ultra 65 - enni raggiungeranno il 35% degli abitanti di cui 7-8 milioni avranno più' di 80 anni e 2 milioni più' di 90. E' una mutazione radicale che avviene dinanzi ad una crisi verticale dei bilanci pubblici.


Una crisi di sistema


La dimensione dei problemi in gioco investe quindi tutti gli aspetti della convivenza collettiva. Solo un cenno ad un' altro nodo che circoscrive e condiziona tutti gli altri: la crisi ambientale che imporrà comunque una riconversione dell'economia dalle proporzioni immani ( e le difficoltà recenti del presidente Obama stanno li a dimostrarlo).
Le questioni agitate dal terzo settore riguardano quindi una dimensione di sistema che interroga dappresso le organizzazioni sociali, le chiese e i movimenti d' opinione. Molto meno la sfera delle istituzioni politiche, che sembrano misurarsi sul governo dell'emergenza, quando non inseguono le paure sociali.
Ha scritto Wolfang Sachs: " ..Il problema non è il cambiamento della politica, bensì il cambiamento civile e profondo che è possibile soltanto trasformando noi stessi. Deve essere un movimento più interno alla società che alla politica. In questo modello di cambiamento sono basilari le minoranze che propongono nuove pratiche, linguaggi, sensibilità e poi elaborano opzioni che magari per tanto tempo rimangono al margine e che però diventano centrali quando subentrano shock esterni" ( Terzo settore, cit. p. 46)
Merita attenzione la formula usata da Sachs: si tratta di un cambiamento che è possibile soltanto "trasformando noi stessi". E' una prospettiva che la riflessione religiosa e quella filosofica conoscono molto bene: rimanda ovviamente ad una domanda - lucida e non ideologica- di progettazione del futuro. Non a caso i soggetti più inquieti del volontariato e dell'associazionismo cristiano insistono con urgenza sul tema degli " stili di vita" da mutare in ogni ambito ( pubblico e privato).
Esaurite le fumisterie di un banale pensiero unico, la durezza della condizione umana ci richiama ad una nuova stagione di ricerca e di responsabilità morale, di cui per ora si intravvedono alcuni barlumi.


http://confronti.net/

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