" Adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente, come perfettamente sono conosciuto. Ora esistono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità; ma la più grande di esse è la carità" ( S. Paolo, 1° lettera ai Corinzi 13,1 )

giovedì 9 dicembre 2010

Non sarà che gli autistici siamo noi ?

Rizvan Khan è un bambino musulmano che nell'India di oggi vive tutte le contraddizioni sociali e culturali del paese, ma ne ha una in più che gli complica la vita: è affetto sin dalla nascita dalla Sindrome di Asperger, una variante lieve dell'autismo che colpisce la sfera delle relazioni sociali, lasciando intatta l' intelligenza.
Una madre religiosa e sensibile lo educa a principi semplici, ma eterni: non esistono differenze tra gli uomini, né religiose, né intellettuali, ma vi sono solo persone buone e cattive. Dopo la sua morte, il fratello - emigrato con successo negli Stati Uniti- gli trova un lavoro come rappresentante di prodotti cosmetici.
Qui Khan conosce Mandira Rathore, una donna single di religione indù: con le movenze strambe e lunari degli Asperger, Khan si innamora della ragazza e forma con lei una famiglia felice, stabilendo con il figlio della donna un rapporto di grande amicizia. Ma l'11 settembre 2001 modifica drammaticamente la loro vita. Spaventato dall'isteria contro l' Islam, Khan si mette in viaggio per dire al Presidente degli Stati Uniti : "Il mio cognome è Khan,ma non sono un terrorista". Finirà in modo del tutto inaspettato.


Forrest Gump in India


Di fronte ad un film come Il mio nome è Khan, diretto da Karan Johar, è abbastanza istintivo sbrigarsela con giudizi facili: un film commerciale, frutto del gusto popolare che caratterizza le produzioni di Bollywood, ormai entrate nel mercato globale. Il film è coprodotto con Rupert Murdoch e echeggia alcuni tratti di un celebre modello americano come Forrest Gump.
In realtà, a meno di non rinunciare a vedere l' ottanta per cento delle opere proiettate nei cinema ( o forse di più), occorre adottare altri occhiali, quando è necessario. La storia di Khan, meccanico provetto e d' animo generoso, ha diversi aspetti che suscitano interesse. Mescola con freschezza popolare due temi decisivi per la vita di tutti: la convivenza tra le fedi religiose e la condizione dei disabili in una società intollerante. La narrazione procede per segmenti che alternano il melodramma con la commedia sentimentale, aiutandosi con una colonna sonora fragorosa e coinvolgente.


Guardare al cuore delle persone


L'intonazione fiabesca alla Frank Capra, che traspare in un finale a sorpresa, mantiene una tonalità giustamente ironica: i buoni riescono a far trionfare le proprie convinzioni e il male per un attimo è sconfitto.
Il regista fronteggia il rischio del semplicismo e della banalità con l' innesto di un altro tema: l' handicap del protagonista. Memore degli insegnamenti della madre, Khan mette nel fronteggiare una società violenta tanto entusiasmo e coraggio da essere d' esempio per i cosiddetti “ normali”. La conclusione di questa vicenda insolita ce la danno ancora una volta le parole lasciategli dalla madre nell'adolescenza: impara a guardare al cuore delle persone.
Grazie alla bravura del protagonista, Shah Rukh Khan- il più importante attore indiano- si rimane incantati dalle camminata sbilenca e dallo sguardo alieno di un Asperger capace di gesti umani. La sua storia ha il merito di lasciarci nella mente un dubbio salutare: ma non sarà che gli autistici, inadatti a relazioni autentiche, siamo noi?


(In uscita sul prossimo numero di Confronti)

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