" Adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente, come perfettamente sono conosciuto. Ora esistono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità; ma la più grande di esse è la carità" ( S. Paolo, 1° lettera ai Corinzi 13,1 )

mercoledì 16 febbraio 2011

Un re disabile e i paradossi della storia

Nell' Inghilterra del 1920. Albert Frederick Arthur George Windsor, duca di York e secondogenito di re Giorgio V, conviveva con una balbuzie nevrotica che gli impediva le apparizioni pubbliche: la radio era ormai divenuta uno strumento indispensabile per i governi e la necessità di pronunciarvi discorsi amplificava sino allo spasimo il suo handicap.
Tra mille ansie e ripensamenti, il duca inizia una terapia presso un logopedista dilettante. Restio ad ogni rapporto con il potere, l' ironia feroce della storia lo prende di mira. Morto il re, il fratello Edward Albert sale al trono con il nome di Edoardo VIII. E' notissimo l'esito di quel breve regno: il nuovo re al posto degli oneri dell' incarico regale preferì l' amore di Wallis Simpson e abdicò a favore del fratello minore. Il duca di York fu costretto così a mettersi alla prova non solo di fronte al peso della corona, ma alle minacce incombenti della guerra mondiale
Il discorso del re di Tom Hooper analizza con grande finezza il tema della disabilita, leggendone i nessi con la vicenda intima del protagonista: i suoi rapporti con la famiglia e con il ruolo pubblico che lo opprime. Nelle sottili e divertenti sedute scopre con una enorme fatica i lacci della sua prigione: un padre autoritario; un fratello aggressivo, che lo ha sbeffeggiato sin dall' infanzia. Ha nascosto questo peso psicologico dietro il formalismo della posizione sociale e non vuole rompere la sua gabbia.
Un disabile, tra angosce private e tragedie storiche
Privo di amici, incapace di esprimere sentimenti, il duca viene costretto dal suo improvvisato terapeuta a guardare dentro il proprio abisso personale. Il regista ha uno sguardo acuto nel differenziare gli ambienti: le scene pubbliche, dominate dalla folla della corte, sono riprese con una lente deformante che esplicità il senso di paura verso una funzione troppo dura da sostenere. Lo spazio della terapia è spoglio, popolato da disegni informi che alludono alle sue paure. Il percorso tortuoso per far luce in se stessi è narrato senza inutili simbolismi. Disabilità e angosce private sono narrate dentro il tragico districarsi della storia.
In una splendida scena risolutiva, il duca -certo che diventerà re- scopre la propria violenza nascosta insultando il medico. Quella scoperta ne scioglie la costrizione emotiva, permettendo il suo cammino verso la presa di coscienza e la guarigione ( almeno parziale).
Il film è sorretto da due interpretazioni incredibili, quelle di Colin Firth (Giorgio VI) e Geoffrey Rush (Lionel Logue). L' handicap è descritto senza concessioni al sentimentalismo e la vicenda ne sottolinea le implicazioni sociali. La narrazione procede per dialoghi brillanti, che esplicitano verità amare. La disabilità è una costruzione sociale, nasce dal giudizio pubblico. Come esseri umani tutti noi abbiamo una qualche fragilità – fisica o interiore. E' la durezza spietata del mondo a costruire il destino del disabili.
Il re Giorgio VI è riuscito a trovare le risorse interiori per fronteggiare questa durezza sin dentro una guerra mondiale. I bagliori finali di morte ci fanno uscire non troppo sereni da questa storia di coraggio.
( In uscita sul mensile Confronti )

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