La precarietà è divenuta ormai non solo una categoria sociologica empirica, ma un concetto che si allarga a definire una condizione psicologica, uno stato emotivo di ansia diffusa. La mancanza di un lavoro certo, sommata al crollo delle tradizionali reti di coesione sociale, provoca quella condizione di “giovinezza prolungata”, che è ormai un sinonimo di concetti ormai usurati come “ disagio giovanile ”.
Una storia di ordinaria precarietà ci viene raccontata da Gianni Zanasi nel suo ultimo film, Non pensarci ( 2007). Un musicista, che ha superato da tempo i trent’anni, vive in malo modo questa condizione stralunata nella Roma d’ oggi: lavoro incerto e frustrante, una donna infedele, entusiasmi zero. Come accade sempre in questi casi, il ritorno alle radici appare una soluzione possibile, anche se illusoria. Parte per Rimini alla ricerca di se stesso, con una malinconia stupefatta che uno straordinario Valerio Mastrandea riesce a "disegnare da par suo" ( coem usano dire i critici colti).
Inizia di qui una storia di incontri con la famiglia allargata (padre, madre, sorella, cognati, nipoti) e poi i vecchi amici, le ragazze della propria adolescenza, ecc. ecc. In una trama, che poteva apparire scontata e sentimentale, il regista ha scelto la strada della commedia all’ italiana, quella acida e cattiva di cui è stato maestro Mario Monicelli.La sua influenza nell’andamento narrativo e nella scelta delle situazioni è visibile, e il maestro stesso ha sponsorizzato il film con grande calore.
Umori tra Monicelli e Moretti
Niente derive crepuscolari, quindi, ma un andamento nevrotico che mette in ridicolo tutte le illusioni del protagonista: i suoi familiari si rivelano un disastro, oppressi da preoccupazioni economiche e angosce mai confessate ; gli amici si dividono equamente tra politicanti arrivisti e vinti della vita in preda alla depressione.
Zanasi ha scelto due modalità narrative molto lucide: la dilatazione grottesca di alcuni passaggi – chiave della storia, e un’ umorismo anarcoide che pervade tutto il racconto. Ne esce un film che richiama per gli umori perfidi Mario Monicelli e per l’ ironia alcuni toni di Nanni Moretti. Il pregio migliore della vicenda è sicuramente la levità, raggiunta anche grazie ad una direzione degli attori di estrema precisione. Si ride per quasi tutto il film, ma di quel riso amaro che non è mai intriso di complicità sorniona, ma piuttosto di un lucido giudizio morale. Il ritratto della vita italiana di questi anni è impietoso. Vi si mescolano prepotenza e incultura, pulsioni volgari al consumismo e alla sopraffazione, che il regista sferza con allegra acrimonia.
Zanasi si era fatto notare con i suoi precedenti film, Nella mischia (1995), A domani ( 1999) e Fuori di me ( 1999), in cui già sapeva integrare il suo naturale pudore narrativo con uno sguardo sociologico non banale. Il successo di Non pensarci suggerisce qualche considerazione di ordine più generale che vale la pena non dimenticare . Da quattro o cinque anni almeno è in atto nel cinema italiano una ripresa fragile, ma abbastanza costante, di interesse per i temi sociali e le narrazioni che tentano di leggere criticamente la realtà del paese.
A volte accade nella forma più divulgativa e complice della commedia, come in questo film e in Tutta la vita davanti di Paolo Virzì. Altre volte quest’ interesse socio- politico prende la strada del documentario o della narrazione drammatica. Basti pensare per il primo caso alle opere straordinarie di un documentarista come Daniele Segre, ancora oggi poco conosciuto. La realtà incombe.. per fortuna.
(Rielaborazione da una recensione apparsa su Confronti nel 2008)
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