" Adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente, come perfettamente sono conosciuto. Ora esistono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità; ma la più grande di esse è la carità" ( S. Paolo, 1° lettera ai Corinzi 13,1 )

lunedì 19 settembre 2011

Discutendo di politica, in un reparto di oncologia

Che cosa può fare uno che ha pasticciato tutta la vita con la politica e le riviste di cultura, se gli capita per tre-quattro mesi di passare la maggior parte della sua giornata nel reparto oncologico di due ospedali romani? Per non cedere alla disperazione o   cadere nell' autobiografismo sentimentale, non può che continuare a riflettere sul senso  pubblico di un' esperienza, che ha toccato non solo lui, ma la compagna della sua vita.
Non entravo con una certa frequenza in un' ospedale da almeno dieci anni e più. La prima sensazione che salta agli occhi è il rumore e la confusione. Tra uffici amministrativi, corridoi e reparti  si affanna   un flusso continuo, innarestabile di anziani, ragazzi, immigrati, gente di ogni età, irritata per la propria fragilità e la difficoltà di avere un servizio in tempi rapidi. E' evidente che l' aumento della popolazione e la carenza di investimenti hanno scaricato sull' ospedale generale tutte le tensioni e i conflitti della società.
Questo appare chiarissimo a chi è costretto a sostare al pronto soccorso: con differenze che possono variare di intensità, tra un ' ospedale e l' altro, il pronto soccorso è una metafora significativa di questa funzione di discarica sociale, svolta da troppe strutture ospedaliere nelle grandi metropoli. Decine di malati in attesa tra sedie, barelle, ecc. in una confusione spesso isterica che mette in conflitto malati con  problemi drammatici, sofferenti psichiatrici arrivati in ospedale chissa da dove, anziani in cerca di un conforto più che di una diagnosi. Una situazione abbastanza allucinata che Scorsese ha raccontato magistralmente in Al di là della vita.
Questa confusione alla fine viene governata abbastanza bene da un personale medico e paramedico, vittima ormai da anni di crescenti pressioni sociali ed economiche (blocco del turn-over, privatizzazione diffusa di molti settori, ecc). Capita di osservare medici al limite del collasso, dopo otto, nove ore di lavoro, che devono formulare in un attimo una diagnosi a mezzanotte o all' una del mattino: e malgrado tutto riescono a risolvere molte situazioni.
Questa  tensione nelle relazioni tra medici, personale paramedico e pazienti, spesso si trasferisce nei reparti in cui la lunghezza di turni e la scarsezza di personale pesa sulla qualità del servizio. Camminando per i corridoi, si  nota, ad esempio, come l' afflusso di anziani sopra i settanta e gli ottanta ' anni richieda un tipo di assistenza personalizzato che oggi l' ospedale generale non è in grado di fornire. Spesso quest' incapacità genera anche qui pesanti conflitti psicologici.
C'è un solo luogo in cui quest' angoscia latente sembra in gran parte placarsi; ed è nei reparti oncologici. Qui la tensione si scioglie, per ragioni evidenti: malgrado i progressi della medicina, il tumore resta nell' immaginario delle persone una minaccia opprimente. Questa sensazione, che è sottesa ai comportamenti di medici e operatori, crea una sospensione dei conflitti, una sorta di dolcezza controllata che allevia la permanenza e lascia il posto ad un clima  di temporanea solidarietà.
Ho portato via da questa esperienza una convinzione profonda, che è morale e umana, prima ancora che politica. E' una convinzione banale, ma che tendiamo tutti a dimenticare. La salute non è argomento che possa essere ridotto ai parametri delle compatibilità economiche tradizionali. Intorno alla percezione di se, del proprio corpo e della propria sopravvivenza, si intrecciano mille tensioni, la maggior parte delle quali inconsce: il corpo diviene un campo di battaglia tra istinto di morte e tendenza alla vita e all' apertura verso l' altro. E' un orizzonte culturale che oggi il pensiero democratico non sembra in grado di  cogliere, preoccupato come è di problemi di basso profilo. Una delle ragioni della diffusione della paura e della chiusura verso l' altro sta forse  in questa incapacità  da parte dei  "progressisti" di cogliere la dimensione antropologica di problemi come la salute dentro la crisi di questa  modernità  angosciosa.

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