Con l' avvicinarsi delle vacanze le iniziative sui temi del blog (disabilità, editoria, comunicazione sociale, ecc.) cominciano a diradarsi e ne approfittiamo per continuare il nostro viaggio per immagini sulle mille facce della diversità nel cinema.
L' occhio che uccide (1960) di Michael Powell è uno dei film più importanti e significativi che siano mai stati realizzati intorno a questo tema. La storia è ambientata nel mondo oscuro del cinema pornografico, di cui esplora miserie e inquietudini psicologiche. Mark Lewis (Carl Boehm) è un operatore-regista ossessionato da una pulsione omicida, legata alla sua stessa attività: vuole filmare l' ultima espressione delle persone di morire. I soggetti che sceglie devono essere ripresi nell' attimo stesso in cui hanno coscienza della loro morte. Con la macchina da presa, modificata in modo perverso, arriverà a compiere diversi omicidi.
Sono tanti gli interrogativi e gli angoli bui che il film invita ad esplorare. Che cosa vediamo realmente quando guardiamo il mondo? Quali pregiudizi ci ossessionano e mettono in crisi la nostra presunta normalità? Il nevrotico ed infelice assassino, protagonista del film, fa da specchio alle miserie e alle infelicità del suo ambiente sordido. Powell ci invita a guardare con pietà alle sue colpe di omicida, raccontando le violenze che ha subito da bambino: in sequenze spietate evoca la crudeltà di un' educazione autoritaria.
Nell' insieme il film anticipa genialmente tutte le grandi questioni che interesseranno il cinema e la società degli anni sessanta: la prevalenza diffusa delle immagini, i mutamenti dell' immaginario collettivo e della sessualità. (ub)
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