Ho esitato a lungo, prima di recensire l’ ultimo film di Francesca Archibugi, Questione di cuore. Il mondo raccontato in quest’ opera è una questione di cuore anche per me!!. E' la Roma del Prenestino - dagli anni ottanta ad oggi, quella segnata dalla morte di Pasolini come spartiacque di una crisi culturale prima che politica della sinistra e di quello che chiamavamo il popolo comunista. Di quelle strade, di quei quartieri ho respirato odori e umori, vivendone direttamente le trasformazioni umane e quelle del paesaggio urbano.
In queste zone, famiglie di ceto medio e classi popolari si incontravano, mescolando vite e destini in un meticciato che aiutava gli intellettuali ad essere meno presuntuosi e il popolo ad avvicinarsi alla coscienza politica, uscendo dal plebeismo. E’ stata la parte migliore dell’ esperienza del PCI che va difesa ancora oggi con orgoglio: era la stagione dei Pasolini, dei Moravia e di alcuni registi e autori come Vittorio De Seta (cercate il suo grande Diario di un maestro) Tutti, in modi diversi, seppero interpretare un rapporto autentico con la città (sino alla fine degli anni sessanta). Poi, in un quindicennio, quel mondo è esploso in una serie di ripetute apocalissi: molti di noi hanno impiegato anni- colpevolmente - a elaborare il lutto per quella scomparsa, rompendo abbastanza le scatole quando la riflessione diventava lagnosa e autoassolutoria.
Dopo alcune opere esitanti, Francesca Archibugi era riuscita a dare ne il Grande Cocomero ( 1993) , una lettura commossa ed equilibrata degli anni settanta, a cavallo delle due epoche. Era una rievocazione della figura di Marco Lombardo Radice, e del suo lavoro di psichiatria che cercò di combattere le strutture oppressive della sua professione. Faceva da cornice alla storia una Roma periferica, incerta tra politica e degrado sociale osservata con partecipe malinconia.
La città e i dolori del cuore
In Questione di cuore ritorna su quel mondo, e lo osserva , avvicinandosi ai nostri giorni. Secondo un codice tipico della commedia italiana, i due protagonisti – uno sceneggiatore ansioso e un carroziere, di robuste origine popolari - si ritrovano in ospedale, in uno di quei gironi infernali che in questi ultimi anni continuiamo a chiamare luoghi di cura. Colpiti entrambi da infarto, la solidarietà naturale tra malati si converte a poco a poco in uno scambio reciproco di sentimenti, esperienze e abilità, che apre ad una buona amicizia. Tra prime rivalità, mascherate da un cinismo irriverente, il rapporto tra l’ intellettuale e il popolano si complica, mentre la trama ritorna su luoghi che di recente sono diventati anche di moda : consumiamo tutto troppo velocemente. Specialmente i quartieri.
Per questo ho voluto rivedere il film a mente fredda, per coglierne eventuali errori o furberie. E la seconda prova ha avuto una conferma. Questa Roma, tra il Policlinico e il Prenestino, è descritta con affetto, ma senza compiacimenti mistificanti. Il carroziere non è solo un popolano vitale e positivo, ma anche un commerciante che diffida della dichiarazione dei redditi e di fronte alla violenza razzista chiude gli occhi, seppure con dolore ( quel popolo comunista è scomparso da tempo). La metafora del rapporto tra ceto medio e popolo non ha quindi più nessun eco gramsciano o tanto meno politico. I due amici sono uniti piuttosto dalla sofferenza e dalla solitudine: li separerà un destino ineluttabile.
Uno sguardo sul dolore dell’ uomo
Sono tante le scene divertenti o tragiche, curate con un professionismo esemplare, che rimanda alla stagione migliore di Risi e Scola (quello di uno dei suoi film più riusciti, C’eravamo tanto amati). Ma una sequenza brevissima eleva la storia della Archibugi più in alto, verso una commozione profonda. Quando il dolore estremo della separazione si insinua tra i due amici, non resta che il silenzio e il gioco assoluto degli sguardi dei due straordinari protagonisti, Kim Rossi Stuart e Antonio Albanese. La verità profonda del film è qui: nello sguardo pieno d’ amore (usiamo con parsimonia questa parola) che la regista sa rivolgere al dolore e allo smarrimento degli uomini.
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