Il volume di Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Le radici della
nonviolenza, (Il Margine, 2011, pp. 240, € 16,00) costituisce un' occasione preziosa per ripercorrere ed approfondire con
attenzione critica il pensiero e la vita di Aldo Capitini, non abbastanza
conosciuti in specie dai giovani. Per molti anni, questo filosofo, politico,
pedagogista (e molto altro) era rimasto fuori dalla discussione pubblica. Pacifista e teorico della non violenza,
Capitini aveva promosso nel 1961 la prima Marcia della Pace Perugina - Assisi,
influenzando un' ampia fronte di ambienti e movimenti, laici e cristiani,
interessati al dialogo e alla cooperazione tra i popoli. Quella manifestazione
era stata l’ ultimo risultato di un
lungo lavoro teorico e pratico iniziato durante gli ultimi anni del fascismo e
proseguito poi nel dopoguerra.
Truini ripercorre analiticamente questo
percorso, lavorando sia su una lettura dei documenti (libri, opuscoli, lettere)
sia sulle vicende biografiche.
La ricerca di Capitini intrecciò
progressivamente componenti diverse: religiose, politiche e pedagogiche. Il
volume ci ricorda come già alla fine degli anni venti Capitini sia stato
profondamente influenzato dalla figura
di Gandhi.
Alla luce di questa esperienza, i tre
aspetti del suo pensiero presero vita e forma nel suo animo già da quel periodo. La ricostruzione tocca tutti
gli elementi della riflessione di questo intellettuale apparentemente solitario,
ma capace di influenzare invece i
giovani di due generazioni. Sul piano politico, Capitini attraverso il
Movimento Liberalsocialista, collaborò con uomini della levatura di Ugo La Malfa, Norberto Bobbio e Pietro Ingrao, pur rifiutando sempre di
prendere una tessera di partito.
La non violenza, tra politica, pedagogia e spiritualità
Nel dopoguerra, prima con la sua attività a
livello di base, nei comuni e nelle associazioni, poi con la sua ricerca
intellettuale, dialogò con figure come Don Primo Mazzolari, Don Lorenzo Milani
e Danilo Dolci, che divenne uno dei suoi più vicini collaboratori.
Truini
sottolinea lungo tutto il testo come asse centrale dell’ impegno di Capitini
sia stata la non violenza come criterio spirituale e pratico. Da un punto di vista religioso e teorico, l’
atteggiamento della non violenza si fondava per lui su alcuni presupposti
conoscitivi. L’ io umano può essere
fondato solo su una relazione con un tu,
un altro da sé di cui dobbiamo
riconoscere la presenza ( e in questa presenza ha un ruolo centrale la natura).
In
questa sfera Capitini formulò la tesi
della compresenza dei vivi e dei morti. Solo la disponibilità verso i morti, l’
ascolto della loro presenza può connetterci con i viventi: "..il silenzio dei morti non ci dà
l'impressione del nulla, ma ci induce a sentire un rapporto universale e corale
con tutti, e proprio dal raccoglimento silenzioso del cimitero esce la nostra
coscienza più appassionata nella vita dei valori." ( Educazione aperta,
La Nuova Italia, 1967).
Questa visione antropologica, elaborata in
solitudine, fuori dagli apparati culturali delle grandi forze culturali del dopoguerra, non fu
mai infruttuosa. Fermentò nelle esperienze più vive di un cinquantennio: il liberalsocialismo;
la prima generazione pacifista degli anni 60 e poi l’ impegno civile dopo il
1968 di tanti pacifisti e cristiani critici. Basti ricordare il nome del primo
obbiettore di coscienza italiano, Pietro Pinna. A Fabrizio Truini va il grande
merito di aver rievocato questa vicenda attualissima, con efficacia di stile e partecipazione intima.
Tutte insieme rendono il libro prezioso.
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