" Adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente, come perfettamente sono conosciuto. Ora esistono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità; ma la più grande di esse è la carità" ( S. Paolo, 1° lettera ai Corinzi 13,1 )

mercoledì 14 dicembre 2011

Pasolini e il dolore del tempo. Sul libro di Fulvio Abbate

Mi è capitato per due volte di  arrivare  vicino ad un ' incontro con Pier Paolo Pasolini, ed entrambe  le ho mancate. Nel 1967, come racconto ogni tanto  in qualche post, entrai per la prima volta in una sezione del Pci romano, attirato dai ripetuti cartelli dedicati ad iniziative culturali. Da  piccolo provinciale di periferia al primo anno di università,  cercavo un ' ancora per la consueta  ricerca di un'identità adulta, uno spazio per colmare una solitudine troppo dolorosa.
Il primo dibattito, di cui scoprii l' annuncio su un manifesto, lo mancai per una banale influenza: prevedeva proprio l' intervento di Pasolini. Lo scrittore era appena tornato da un viaggio negli Usa e aveva scatenato una delle sue consuete polemiche, inneggiando ai  movimenti dei neri con un articolo su Paese sera: era il giornale popolare della sinistra romana,  molto letto tra gli studenti  per una splendida pagina libri che ci insegnava a fare le prime riflessioni.
Negli anni successivi, trascorsi in quell' orrenda cantina nel quartiere Esquilino, sentii a lungo citare frasi e concetti dell' articolo pasoliniano. e di quel dibattito mancato. All' Università cominciavo a leggere le sue opere più famose e con Accattone e Il Vangelo secondo Matteo costruivo la mia identità di spettatore.
Quasi dieci anni dopo, mentre ero al telefono con la ragazza che poi sarebbe diventata mia moglie,  sentii dalla televisione la notizia dell' assassinio del poeta. Decisi di andare ai funerali, ma non riuscimmo nemmeno ad entrare in Campo de Fiori, tanta era la massa di persone, commosse e silenziose. Rimanemmo ai bordi di Via dei Giubbonari, lo sguardo smarrito e gli occhi inumiditi dal pianto,
Per questo ho comprato subito il libro di Fulvio Abbate, di cui avevo letto per molti anni gli articoli sull' Unità e apprezzato almeno un paio di libri. Per qualche giorno ho esitato ad affrontare il volume. Dopo trenta anni, la mia memoria aveva una sorta di blocco. 
Vivo da trent'anni tra Villa Gordiani e il Pigneto e  sono circondato da frammenti di ricordi ed immagini su  Pasolini intellettuale e regista, le periferie, ecc. (e spesso sono memorie filtrate da un' inevitabile consumismo). Come nota anche Abbate,   l' immagine intellettuale e umana di  Pasolini sembra ridotta nel dibattito pubblico ad una sorta di giallo, un noir sulla ricerca dei suoi assassini - o al massimo una puntata di Chi l' ha visto
Poi ho deciso e ho letto due volte con  interesse e commozione crescenti.


Il coraggio dello scandalo


Innanzi tutto, una notazione. Non lascatevi ingannare dal titolo. Questo non è un libro didattico sull' autore delle Ceneri di Gramsci. Per le conoscenze specifiche che presuppone su di lui e il contesto di quegli anni,  è diretto piuttosto agli adulti che hanno attraversato (e in gran parte dimenticato) i conflitti di questo trentennio. Il libro - bello ed originale -  è sostanzialmente questo: un lungo, appassionato, dolente periplo intorno al pianeta Pasolini, compiuto da uno scrittore che lo ha amato e che ne scandaglia gli anfratti più reconditi, attraverso innumerevoli testimonianze (persone celebri e individui  comuni).
Abbate usa  con grande perizia vari registri stilistici. Quello nostalgico  gli serve per ricordare una capitale scomparsa, la Roma pasoliniana, quella del Tuscolano, di Monteverde, di Gordiani, ecc, una Roma che ben ricorda chi ha più di sessant' anni come me. 
Certi attacchi delle sue descrizioni urbane  rimangono nell' animo per le qualità coloristiche: " ..Costeggiando  una siepe d' alloro, raggiungo e supero viale Palmiro Togliatti. A sinistra, gli archi dell' Acquedotto Felice, a destra le costruzioni dormitorio segnate dalle bandiere da samurai delle concessionarie automobilistiche, vessilli propri delle cinture cittadine ". ( p. 51)
Alla rievocazione commossa di luoghi e quartieri si alternano le testimonianze personali inseguite con caparbia e insieme surreale completezza: Laura Betti, Furio Colombo, Bertolucci, ecc. Qui emerge - duro e inflessibile -  un giudizio politico e morale. Abbate contrappone con giusta durezza il coraggio e la solitudine di Pasolini al conformismo e alla pochezza consumista dell' ultimo ventennio moderato, cui l' esperienza della sinistra non è mai riuscita a contrapporre nessuna reale alternativa, culturale prima che politica.
Un' altro lato di questo libro complesso  è quello del rapporto tra lo scrittore stesso e Pasolini: qui si esercità il rimpianto e il furore polemico di Abbate contro un ceto intellettuale, incapace di essere all' altezza della domande poste da Pasolini e rimaste senza risposta.
La polemica di Abbate con quest' Italia sfatta e conformista echeggia i suoi interventi giornalistici e i suoi monologhi in rete su Teledurruti, che molti conoscono. E' una accusa feroce ad un " paese mancato", che nasconde un sentimento ancora più profondo, di  forte autenticità (almeno per me): una malinconia profonda, struggente  per il tempo trascorso e la difficoltà estrema di vivere in  quello che siamo  destinati ad affrontare oggi.
Il libro è una testimonianza appassionata  di questo dolore, l' addio definitivo ad un ' epoca che non c' è più. Leggetelo, vi farà pensare  sul serio e non ne rimarrete delusi.

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