" Adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente, come perfettamente sono conosciuto. Ora esistono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità; ma la più grande di esse è la carità" ( S. Paolo, 1° lettera ai Corinzi 13,1 )

martedì 10 gennaio 2012

Oltre il rumore, il silenzio prezioso degli angeli

Le morti dei giovani, che anche in questi giorni la cronaca ci comunica in modo straziante,  investono il nostro immaginario e la loro presenza cambia  la vita emotiva di molti di noi, rimandandoci l' antico tema degli angeli. Questo contributo di Annamaria Torroncelli riflette con lucida passione   su questo tema.
 
Il corpo di una ragazzina riemerge dal fango e da foto raccapriccianti, bimbi mai nati e senza un nome avranno le lacrime dei loro cari, una creatura di pochi mesi vola in cielo con il suo papà trafitta da un unico, maledetto proiettile di morte. Angeli, angeli strappati alla luce, angeli che ci accompagnano, lievi e silenziosi, nel nostro cammino di vita. Da sempre.
A scuola, il biondo Angelo Custode, lo ricordo bene, raffigurato, sul libretto del catechismo, con la grande ala bianca protesa sulla spalla del bambino, suo protetto. Mi trasmetteva serenità, il suo era un controllo benevolo e rassicurante.
A casa, mio padre aveva insegnato a me, come la sua mamma aveva fatto con lui, di non tenere l’angelo “impegnato” a tavola. Mi diceva così e io l’ascoltavo affascinata. Mi piaceva l’idea che un angelo fosse a tavola con noi, nella nostra casa. Mi dava conforto e sicurezza quella creatura celestiale che proteggeva il desco familiare. 
Ancora oggi, il gesto del lembo della tovaglia rovesciata quando i commensali non sono a tavola, è per me segno di fede e di rispetto. Una fede vissuta con discrezione, fatta di sentimenti forti nella loro semplicità.
Poi, piano piano, inesorabilmente come tutti quei rituali giudicati superati, anche l’immagine dell’Angelo Custode si è sbiadita sotto i riflettori della cultura del roboante e di una fede ostentata e non vissuta.
Anche i funerali sono diventati show, con battimani e passerelle. Il primo applauso ad un funerale, quello di Anna Magnani, aveva trovato la sua ragione nel rapporto viscerale che legava Roma alla sua più prestigiosa figlia d’arte. Quel fragoroso battimani riecheggiato nell’austera chiesa romana di Santa Maria sopra Minerva e rotolato imperioso sul sagrato, fu spontaneo quanto irrituale. Perfettamente in linea con il temperamento sanguigno dell’attrice, che dell’irriverenza e della trasgressione aveva fatto il suo credo artistico e di vita. Da allora, però, dell’applauso se ne è fatto abuso, e la sacralità del rito, fatta di silenzi e meditazione, ne ha senza dubbio sofferto.
Eppure, paradossalmente, quanto più si è diffusa la spettacolarizzazione del dolore, la morbosa attrazione del macabro, tanto più sembra aumentato il desiderio di compostezza e rispetto, nella ricerca di una rinnovata considerazione per la vita attraverso il rispetto per la morte.
Prova ne è la riflessione dello scrittore Maurizio de Giovanni, apparsa alcuni giorni fa, sulle colonne del Mattino, sulla pubblicazione delle foto del ritrovamento del corpo di Sarah Scazzi.  Il suo è un canto dolente, di parole non gridate, lontane da ogni volgare clamore. Parole di dolore vero e non ostentato.
Finalmente una carezza straziante, ma dolcissima per la piccola Sarah. La piccola Sarah che ritorna da quel pozzo nero e melmoso per trascinare il suo profanatore nel gorgo dell’inferno. Lei, prima angelo straziato da una morte orrenda, ora angelo rivelatore dell’infame oltraggio.  
E ancora. È di questi giorni la notizia che a Roma, al cimitero Laurentino, è stata riservata un’area alla sepoltura dei bimbi mai nati, quei feti che, per cause naturali o per aborti terapeutici, non hanno potuto vedere la luce.
Il Cimitero degli angeli, ecco come hanno chiamato questo prato che guarda una campagna radiosa e profumata che neanche la morte riesce ad offuscare nella sua dolce solarità. Due angeli in marmo bianco delimitano un prato ancora vergine e fronteggiano un dolce declivio di piante e fiori contrappuntato da girandole, giochi, peluche dai mille colori. Il cimitero dei bambini.
Se andate da quelle parti, entrate a vedere questo “meraviglioso” camposanto. Quando ci arrivate, vi sembrerà impossibile che quelle macchie di colori, fatti di giochi e di fiori, siano l’ultima dimora di passeri implumi: bimbi strappati alla vita il giorno stesso della nascita o poco tempo dopo.
Ogni volta che lo attraverso, quel prato, una straziante fitta mi trapassa l’anima. Provo una rabbia sempre uguale e violenta. Mi ritornano alla mente i racconti di dolore delle mie nonne private di quattro figli, portati via da malattie banali quanto, all’epoca, implacabili. E comprendo, da madre, quanto sia insopportabile nella sua estraneità al ciclo naturale della vita, la morte di un bambino. Ancor peggio, di un figlio.Eppure, l’idea di pensarli angeli mi conforta, mi aiuta a superare il dolore rabbioso del distacco innaturale. Mi piace pensarli intenti a giocare fra loro sotto lo sguardo vigile e materno dei due angeli di pietra bianca.
Insieme a Joy, la tenera bimba dagli occhi a mandorla, che ha avuto come unico dono dalla vita affrontare il suo ultimo viaggio “tranquilla” tra le braccia del suo papà. Lei, ennesima vittima sacrificale all’altare della violenza brutale di una società che genera mostri e non si interroga mai a sufficienza su quali siano le ragioni vere che portano ad un tale disprezzo della vita.
Ci basta scandalizzarci, ci basta inveire contro l’assenza dello Stato, ci basta pascerci dei particolari raccapriccianti delle storie di ordinaria cronaca nera.
E poi, siamo incapaci di fermarci a considerare quali siano realmente le responsabilità di ognuno di noi, nel nostro piccolo, difficilissimo quotidiano. Abbandoniamo le chiacchiere, il blabla da talk show, evitiamo che anche buone intenzioni finiscano nel tritacarne della polemica sterile.
Evitiamo, perciò, che l’intenzione di salvare dall’inceneritore dei rifiuti ospedalieri quei progetti di vita e dare ai loro cari un luogo dove piangerli e abituarsi al loro distacco, diventi spunto e materia solo per dibattiti sui fronti contrapposti dell’aborto. È ovvio che la circostanza, inevitabilmente, porti a riconsiderare il tema, ma una volta tanto cerchiamo di mettere da parte le polemiche e fermiamoci ai sentimenti.
Ai silenziosi sentimenti, quelli che non siamo più capaci di ascoltare in questo mondo urlato che nessuno spazio lascia alle dolcezze di una comunicazione non detta.



Annamaria Torroncelli

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