" Adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente, come perfettamente sono conosciuto. Ora esistono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità; ma la più grande di esse è la carità" ( S. Paolo, 1° lettera ai Corinzi 13,1 )

mercoledì 22 febbraio 2012

Un ' indagine tra menzogna e dolore per il commissario Ricciardi

Perché parlare di un romanzo come Per mano mia. Il Natale del commissario Ricciardi (Einaudi, 2011) di Maurizio de Giovanni su un blog dedicato alla comunicazione sociale e al mondo del disagio? Per due ragioni. Innanzi tutto perché non è possibile rinchiudersi in una visione tecnicistica del problema dell'emarginazione e della sofferenza. Nell'ascolto della condizione dei più fragili si intrecciano mille interrogativi etici, filosofici, ecc. sugli esseri umani, i loro limiti ed egoismi: le forme dell'esperienza artistica aiutano a dipanare questi dilemmi meglio delle argomentazioni razionali. Il secondo motivo riguarda il libro: de Giovanni  riesce a raccontare il mondo del dolore con uno sguardo sensibile e acutissimo.
L' attenzione al lato oscuro dell'uomo del resto è sempre stata una delle caratteristiche del noir (inteso in una accezione larga): da Conan Doyle a Simenon, da Chandler a Vázquez Montalbán l' indagine è sempre un viaggio pericoloso negli interstizi del cuore umano,  nella nostra capacità di incutere e di sopportare il dolore più atroce. Di questa coazione a affrontare i tanti risvolti della sofferenza ha lunga pratica il commissario di polizia Ricciardi di cui de Giovanni ha ha già raccontato altre avventure tutte ambientate nella Napoli fascista degli anni ’30.

Un delitto a Natale

Qui siamo a pochi giorni dal Natale, quella festa che per Napoli ha significati religiosi antichi e del tutto peculiari. Un funzionario della milizia portuaria e sua moglie vengono assassinati nella loro casa a Mergellina. Oltre alla particolare ferocia, il delitto si segnala per una caratteristica della scena del crimine. Accanto ai morti, viene ritrovato il presepe con una statuina mancante, quella di San Giuseppe, ridotta in pezzi e nascosta sotto il tavolino che ospita la rappresentazione.
Anche in questa  ennesima avventura si svela una caratteristica misteriosa di Ricciardi: in una sorta di presentimento i morti, nel momento della loro dipartita, gli svelano le ultime parole. Angosciato da questa vera e propria dannazione, che gli permette di vedere il male senza poterlo prevenire, Ricciardi procede nelle sue indagini come un diverso, quasi uno spettro a metà tra il mondo dei vivi e quello dei morti. E i suoi interrogativi sulla inafferrabilità del male percorrono tutto il racconto.
Sono tanti i motivi di fascinazione per questo libro, in cui una  scrittura tersa evoca gli ambienti oscuri e violenti di Napoli. La città di De Giovanni è ancora quella di Viviani e della Ortese, in cui tenerezza ed emozione si incardinano dentro un quadro di miseria e violenza. Come sempre, i più colpiti sono le donne e i bambini, raccontati con particolare commozione e lucida esattezza. Il racconto è scandito ad ogni passo dalla presenza del presepe che nella vicenda ha varie funzioni, oltre quella ovvia di caratterizzare l' ambientazione napoletana.
Le statuine sacre svolgono un ruolo importante nella risoluzione dell'orrendo delitto ( e il lettore lo capirà, solo alla fine, come è d' obbligo). Ma c'è un significato più profondo. Attraverso le immagini del Natale scopriamo le ferite della città ferita: la famiglia minacciata dalla violenza, il bisogno d' amore e di pace, mai esauditi.

La pietà inerme

De Giovanni racconta con dettagli rigorosi e poco noti tutte le tradizioni napoletane, dal presepe alla cucina e alla città. Questi veri e propri gioielli antropologici hanno la funzione di definire meglio i rapporti sociali, di trasmetterne il senso. C'è il Natale dei potenti e c'è quello dei poveri, dei senza storia, dei mendicanti, dei pescatori, dei femminielli, tutti rappresentati con uno sguardo partecipe.
Il Commissario Ricciardi si muove in questo palude, piena di trappole minacciose e di misteri, senza nutrire la speranza di una redenzione possibile ( anche se nei momenti decisivi ha i gesti di pietà ed amicizia che lo mettono dalla parte giusta). Rimangono gli interrogativi: oltre la disperazione della città e dei suoi abitanti, in specie di quelli deboli, quali possono essere le vie della redenzione, indicate dal presepio, ossia l' amore e l' apertura all ' altro?
Usciamo dalla lettura con la convinzione rinnovata che la presenza del male ha radici troppo profonde nella condizione umana. Sono radici con dei nomi precisi: l' ambizione, il danaro, la violenza contro i più deboli. Estirparle è il compito immane che il commissario Ricciardi svolge con disincanto misto a una fragile speranza. E' questo oggi lo stato d'animo di tutti noi e leggere un libro come quello di De Giovanni ci aiuta a sopportarlo meglio.
                                                                     
                                                                         Umberto Brancia

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