Perché
parlare di un romanzo come Per
mano mia. Il Natale del commissario Ricciardi (Einaudi, 2011) di Maurizio de Giovanni su un blog dedicato alla comunicazione sociale e
al mondo del disagio? Per due ragioni. Innanzi tutto perché non
è possibile rinchiudersi in una visione tecnicistica del
problema dell'emarginazione e della sofferenza. Nell'ascolto della
condizione dei più fragili si intrecciano mille interrogativi etici,
filosofici, ecc. sugli esseri umani, i loro limiti ed egoismi: le
forme dell'esperienza artistica aiutano a dipanare questi dilemmi
meglio delle argomentazioni razionali. Il secondo motivo riguarda il libro: de Giovanni riesce a raccontare il mondo del dolore con
uno sguardo sensibile e acutissimo.
L'
attenzione al lato oscuro dell'uomo del resto è sempre stata una
delle caratteristiche del noir (inteso in una accezione larga): da
Conan Doyle a Simenon, da Chandler a Vázquez
Montalbán l' indagine è
sempre un viaggio pericoloso negli interstizi del cuore umano, nella
nostra capacità di incutere e di sopportare il dolore più atroce. Di questa
coazione a affrontare i tanti risvolti della sofferenza ha lunga
pratica il commissario di polizia Ricciardi di cui de Giovanni ha ha
già raccontato altre avventure tutte ambientate nella Napoli
fascista degli anni ’30.
Un delitto a Natale
Qui
siamo a pochi giorni dal Natale, quella festa che per Napoli ha
significati religiosi antichi e del tutto peculiari. Un funzionario
della milizia portuaria e sua moglie vengono assassinati nella loro
casa a Mergellina. Oltre alla particolare ferocia, il delitto si
segnala per una caratteristica della scena del crimine. Accanto ai
morti, viene ritrovato il presepe con una statuina mancante, quella
di San Giuseppe, ridotta in pezzi e nascosta sotto il tavolino che
ospita la rappresentazione.
Anche
in questa ennesima avventura si svela una caratteristica misteriosa di Ricciardi: in una sorta di presentimento i morti, nel momento della loro dipartita, gli
svelano le ultime parole.
Angosciato da questa vera e propria dannazione, che gli permette di
vedere il male senza poterlo prevenire, Ricciardi procede nelle sue
indagini come un diverso, quasi uno spettro a metà tra il mondo dei
vivi e quello dei morti. E i suoi interrogativi sulla inafferrabilità
del male percorrono tutto il racconto.
Sono tanti i motivi di fascinazione per questo libro, in cui una scrittura tersa evoca gli ambienti oscuri e violenti di Napoli. La città di De Giovanni è ancora quella di Viviani e della Ortese, in cui tenerezza ed emozione si incardinano dentro un quadro di miseria e violenza. Come sempre, i più colpiti sono le donne e i bambini, raccontati con particolare commozione e lucida esattezza. Il racconto è scandito ad ogni passo dalla presenza del presepe che nella vicenda ha varie funzioni, oltre quella ovvia di caratterizzare l' ambientazione napoletana.
Sono tanti i motivi di fascinazione per questo libro, in cui una scrittura tersa evoca gli ambienti oscuri e violenti di Napoli. La città di De Giovanni è ancora quella di Viviani e della Ortese, in cui tenerezza ed emozione si incardinano dentro un quadro di miseria e violenza. Come sempre, i più colpiti sono le donne e i bambini, raccontati con particolare commozione e lucida esattezza. Il racconto è scandito ad ogni passo dalla presenza del presepe che nella vicenda ha varie funzioni, oltre quella ovvia di caratterizzare l' ambientazione napoletana.
Le
statuine sacre svolgono un ruolo importante nella risoluzione
dell'orrendo delitto ( e il lettore lo capirà, solo alla fine, come
è d' obbligo). Ma c'è un significato più profondo. Attraverso le
immagini del Natale scopriamo le ferite della città ferita: la
famiglia minacciata dalla violenza, il bisogno d' amore e di pace, mai esauditi.
La pietà inerme
De
Giovanni racconta con dettagli rigorosi e poco noti tutte le
tradizioni napoletane, dal presepe alla cucina e alla città. Questi
veri e propri gioielli antropologici hanno la funzione di definire meglio i
rapporti sociali, di trasmetterne il senso. C'è il Natale dei
potenti e c'è quello dei poveri, dei senza storia, dei mendicanti, dei
pescatori, dei femminielli, tutti rappresentati con uno sguardo
partecipe.
Il Commissario Ricciardi si muove in questo palude, piena
di trappole minacciose e di misteri, senza nutrire la speranza di una
redenzione possibile ( anche se nei momenti decisivi ha i gesti di
pietà ed amicizia che lo mettono dalla parte giusta). Rimangono gli
interrogativi: oltre la disperazione della città e dei suoi
abitanti, in specie di quelli deboli, quali possono essere le vie
della redenzione, indicate dal presepio, ossia l' amore e l' apertura
all ' altro?
Usciamo
dalla lettura con la convinzione rinnovata che la presenza del male
ha radici troppo profonde nella condizione umana. Sono radici con
dei nomi precisi: l' ambizione, il danaro, la violenza contro i più
deboli. Estirparle è il compito immane che il commissario Ricciardi svolge con disincanto misto a una fragile speranza. E' questo
oggi lo stato d'animo di tutti noi e leggere un libro come quello di De Giovanni ci aiuta a sopportarlo meglio.
Umberto Brancia
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