Quando
ieri sera sono entrato alle 20,30 nel salone della Chiesa metodista
di via Firenze 38 (angolo via XX Settembre) per la cena di sostegno alla
rivista “ Confronti”, ero molto timoroso, pieno di ansie. Confronti ( e prima il suo precedente storico, il settimanale COM - Nuovi tempi) sono stati il mio
spazio elettivo di impegno pubblico, per quasi trent’ anni ( insieme a qualche
altro luogo, che oggi langue o è scomparso per sempre ). Non è stato un impegno continuativo, come è
tipico di un’ attività volontaria, ma ha
assorbito comunque una parte notevole della mia vita. Come accade per ogni
esperienza concreta, a questo lungo periodo sono legati emozioni (e conflitti)
profondi, mai banali.
Mentre entravo, mi sono riapparse per un momento alla mente immagini della lunga vicenda di questo mondo di “cristiani critici”, in cui abbiamo discusso e ci siamo arrovellati intorno ai
principali avvenimenti della vita pubblica, italiana e addirittura mondiale. In
quel palazzo grigio e austero della Roma umbertina, ho visto riunioni di redazione affollatissime e
momenti di triste difficoltà, segnati
sempre da una passione genuina per l’ analisi politica e sociale, per i buoni
libri e le idee. Lì ho imparato a
scrivere decentemente un articolo o la recensione di un libro. E ancora oggi
non sono sicuro di averlo imparato bene, se non mi confronto con gli articoli
degli altri: anche questa è una peculiarità delle riviste.
Aperta la porta del salone, ci
hanno investito i rumori e le voci di un centinaio di persone, che cominciavano
a bere e a mangiare. Ho tirato un sospiro di sollievo, come era accaduto in
tanti altri casi: era andata bene, era andata bene! La redazione e i membri
della cooperativa, impegnati in questa iniziativa di sostegno alla
sopravvivenza del giornale, avevano
lavorato per varie settimane affinché la serata riuscisse.
Le riviste indipendenti di
cultura vivono proprio così questa fase molto difficile del mondo editoriale:
tra paura e speranza. La fattura della
rivista si intreccia a fatica con le iniziative di solidarietà, le relazioni
culturali e tanto lavoro volontario. Sono una ricchezza del nostro tessuto
culturale profondo, che tiene aggregati mondi
diffusi, segmenti di realtà sociale ignorati dal circuito ufficiale dei media.
Per due ore, ho stretto la mano a
tanti amici recenti e a volti che non vedevo magari da vent’ anni. Non c’ era nell’
aria nessun atteggiamento da reduci, se
non forse una sotterranea malinconia per il tempo trascorso e per le
ulcerazioni di un panorama politico ed
economico molto simile alle rovine di un
terremoto.
Si discuteva su come salvare la rivista e si pensava a nuovi progetti. Un’ altro dato mi ha consolato, andando via: ho visto molti giovani che non conoscevo e che erano lì per aiutare – e non solo per mangiare! Le riviste sono anche questo: una palestra, uno spazio per quei ventenni che hanno voglia di guardare il mondo con sguardo critico. Non dovremmo dimenticarlo mai.
Si discuteva su come salvare la rivista e si pensava a nuovi progetti. Un’ altro dato mi ha consolato, andando via: ho visto molti giovani che non conoscevo e che erano lì per aiutare – e non solo per mangiare! Le riviste sono anche questo: una palestra, uno spazio per quei ventenni che hanno voglia di guardare il mondo con sguardo critico. Non dovremmo dimenticarlo mai.
La crisi della nostra rivista non
è ancora superata, ma sabato sera è stata una tappa importante.
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