" Adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente, come perfettamente sono conosciuto. Ora esistono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità; ma la più grande di esse è la carità" ( S. Paolo, 1° lettera ai Corinzi 13,1 )

venerdì 9 marzo 2012

Troppo spesso per i disabili l' inferno è qui

C’ è da dire subito che il libro di Massimo Fioranelli (Il decimo cerchio. Appunti per una storia della disabilità, presentazione di G. Cosmacini, Laterza, 2011, 16.00 euro) è una felice sorpresa nel dibattito culturale sui mille risvolti della disabilità. Un dibattito che negli ultimi quindici anni è stato troppo spesso rinchiuso nelle sedi specialistiche (operatori, associazioni, ecc.). La società dello spettacolo, in mezzo ad alcuni meriti indubbi come quello di diffondere la conoscenza a milioni di persone, ha avuto verso il tema della condizione disabile una mancanza grave: ha usato troppo spesso l’ handicap come strumento di commozione superficiale, di stupore momentaneo.
Sono scomparsi  dalla visibilità pubblica i temi dei diritti non acquisiti e delle promesse mancate, che le associazioni e le famiglie avevano portato avanti nel ventennio 1970 – 1990. La riflessione culturale sulla percezione sociale della disabilità, sui pregiudizi mentali che ne impediscono una visione autenticamente umana si è andata attenuando in troppi ambienti.
Fioranelli ci riporta sin dal titolo dentro le radici culturali, sociali e psicologiche che ostacolano un mutamento dei pregiudizi collettivi. Nella Divina Commedia Dante aveva narrato tutti e nove i cerchi dell'Inferno ma non aveva collocato da nessuna parte i disabili, che venivano considerati non conformi all’immagine di Dio, e quindi portatori del peccato massimo. Per l’ autore il decimo cerchio, l’ inferno per i disabili non è nell ' al di là, ma è qui, sulla terra.
Fioranelli parte dall’antichità e attraverso il Medioevo e il Rinascimento ricostruisce una storia di orrori e un lentissimo cammino di consapevolezza. Stabilità un' ipotetica norma del corpo e dello spirito, nel corso dei secoli la società ha teso a combattere chiunque non si conformasse a questa norma. 
Come dimostra questo racconto attraverso episodi significativi e dimenticati, combattere ha significato non solo la reclusione, ma più semplicemente la segregazione e lo sterminio: non solo per i mendicanti del medioevo o dell’ottocento, ma per i disabili psichici della civile Europa del novecento, abbandonati nelle strade delle metropoli o uccisi nei campi di concentramento.
Il volume spiega con finezza i progressi compiuti nella percezione collettiva dei disabili con l’ avvento della medicina moderna e delle concezioni del progresso post- illumistiche. Ma il suo libro, affrontando l' età contemporanea, è percorso da un' inquietudine terribile. Le antiche ed irrazionali paure dell’uomo verso chi è diverso, “alieno” rispetto alla cosiddetta normalità, possono riemergere in un contesto segnato da gravi difficoltà economiche.
 “.. Se il sistema va in crisi, i vecchi nodi tornano al pettine: ecco riaffacciarsi lo spettro dell’inutilità, del peso in più da sostenere, dello spreco di risorse sottratte al normale e date a chi nemmeno può capirle” ( p. 121). Potrebbe ritornare la tentazione di dividere gli esseri umani tra “utili” e “ inutili” ( e qualche tentazione ogni tanto già riappare, con la giustificazione dei costi sociali eccessivi!)
L’ autore evoca con rigore scientifico e fervore morale questa preoccupazione, ricordandoci come un eventuale ritorno indietro “ sulla strada dei diritti” ( p. 121) sarebbe grave non solo per i disabili, ma per tutta la società. 
 
                                                                      Umberto Brancia

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