C’
è da dire subito che il libro di Massimo Fioranelli (Il decimo
cerchio. Appunti per una storia della disabilità, presentazione
di G. Cosmacini, Laterza, 2011, 16.00 euro) è una felice
sorpresa nel dibattito culturale sui mille risvolti della
disabilità. Un dibattito che negli ultimi quindici anni è stato
troppo spesso rinchiuso nelle sedi specialistiche (operatori,
associazioni, ecc.). La
società dello spettacolo, in mezzo ad alcuni meriti indubbi come
quello di diffondere la conoscenza a milioni di persone, ha avuto
verso il tema della condizione disabile una mancanza grave: ha usato
troppo spesso l’ handicap come strumento di commozione
superficiale, di stupore momentaneo.
Sono
scomparsi dalla visibilità pubblica i temi dei diritti
non acquisiti e delle promesse mancate, che le associazioni e le
famiglie avevano portato avanti nel ventennio 1970 – 1990. La
riflessione culturale sulla percezione sociale della disabilità, sui
pregiudizi mentali che ne impediscono una visione autenticamente umana
si è andata attenuando in troppi ambienti.
Fioranelli
ci riporta sin dal titolo dentro le radici culturali, sociali e
psicologiche che ostacolano un mutamento dei pregiudizi collettivi.
Nella Divina Commedia Dante aveva narrato tutti e nove i
cerchi dell'Inferno ma non aveva collocato da nessuna parte i
disabili, che venivano considerati non conformi all’immagine di
Dio, e quindi portatori del peccato massimo. Per l’ autore il
decimo cerchio, l’ inferno per i disabili non è nell ' al di là,
ma è qui, sulla terra.
Fioranelli
parte dall’antichità e attraverso il Medioevo e il Rinascimento
ricostruisce una storia di orrori e un lentissimo cammino di
consapevolezza. Stabilità un' ipotetica norma del corpo e dello
spirito, nel corso dei secoli la società ha teso a combattere
chiunque non si conformasse a questa norma.
Come dimostra questo racconto attraverso episodi significativi e dimenticati, combattere ha significato non solo la reclusione, ma più semplicemente la segregazione e lo sterminio: non solo per i mendicanti del medioevo o dell’ottocento, ma per i disabili psichici della civile Europa del novecento, abbandonati nelle strade delle metropoli o uccisi nei campi di concentramento.
Come dimostra questo racconto attraverso episodi significativi e dimenticati, combattere ha significato non solo la reclusione, ma più semplicemente la segregazione e lo sterminio: non solo per i mendicanti del medioevo o dell’ottocento, ma per i disabili psichici della civile Europa del novecento, abbandonati nelle strade delle metropoli o uccisi nei campi di concentramento.
Il volume spiega con finezza i progressi compiuti nella percezione collettiva dei
disabili con l’ avvento della medicina moderna e delle concezioni
del progresso post- illumistiche. Ma il suo libro, affrontando l' età
contemporanea, è percorso da un' inquietudine terribile. Le
antiche ed irrazionali paure dell’uomo verso chi è diverso,
“alieno” rispetto alla cosiddetta normalità, possono riemergere
in un contesto segnato da gravi difficoltà economiche.
“.. Se il sistema va in crisi, i vecchi nodi tornano al pettine: ecco riaffacciarsi lo spettro dell’inutilità, del peso in più da sostenere, dello spreco di risorse sottratte al normale e date a chi nemmeno può capirle” ( p. 121). Potrebbe ritornare la tentazione di dividere gli esseri umani tra “utili” e “ inutili” ( e qualche tentazione ogni tanto già riappare, con la giustificazione dei costi sociali eccessivi!)
“.. Se il sistema va in crisi, i vecchi nodi tornano al pettine: ecco riaffacciarsi lo spettro dell’inutilità, del peso in più da sostenere, dello spreco di risorse sottratte al normale e date a chi nemmeno può capirle” ( p. 121). Potrebbe ritornare la tentazione di dividere gli esseri umani tra “utili” e “ inutili” ( e qualche tentazione ogni tanto già riappare, con la giustificazione dei costi sociali eccessivi!)
L’
autore evoca con rigore scientifico e fervore morale questa
preoccupazione, ricordandoci come un eventuale ritorno indietro “
sulla strada dei diritti” ( p. 121) sarebbe grave non solo per i disabili, ma
per tutta la società.
Umberto Brancia
Nessun commento:
Posta un commento