Sono rari i
libri sull’handicap che non riescano a commuovere già ad una prima
lettura. Il volume di Massimiliano Verga ( Zigulì.
La mia vita dolceamara con un figlio disabile, Mondadori,
2012,
euro.
16,
50, p.186) è uno di questi e vale la
pena spiegare il perché. Il racconto di vita sulla disabilità è
un genere letterario molto diffuso negli ultimi anni e ha quasi
sempre lo scopo di catturare l’ emozione del lettore, di suscitarne
la partecipazione al dolore altrui.
Padre di un
bambino di otto anni con un grave handicap cerebrale, questo
docente universitario descrive la sua drammatica esperienza
senza le consuete notazioni sentimentali. Il racconto è organizzato in
brevi frammenti epigrammatici di poche decine di righe che evocano in gran parte episodi della vita di Moreno, un bimbo di otto anni con un cervello
grande come una Zigulì (una celebre caramella degli anni sessanta).
Con
apparente freddezza e doloroso sarcasmo, Virga racconta i momenti più
intimi (i pasti, il bagno) e quelli pubblici. Ne trasmette le
sensazioni attraverso odori e sapori spesso sgradevoli. Man mano che
si procede nella lettura si riesce a penetrare il muro di feroce
ironia e la corazza di dolore, dietro cui Virga tiene ben viva la sua
riserva d’ amore per il figlio con cui deve comunicare per gesti
simbolici, indiretti.
In un
frammento brevissimo, intitolato “ quando ridi..”, Verga scrive:
…non me ne fotte letteralmente un cazzo di quello che mi succede
intorno” ( p. 172). Questo amore irato e severo esprime meglio di
un mediocre sentimentalismo la condizione estrema di un disabile
grave e della famiglia che lo circonda.
Questi sentimenti hanno molti nomi: ansia, rabbia, angoscia. Ma sicuramente non la pietà, almeno nel senso generico dato a questo termine. “Amo Moreno. Anche se è handicappato. Non sempre ne sono convinto. Ma fatti due conti non riesco davvero a pensare alla mia vita senza di lui. Nonostante tutto. Però ho perso, non so dove, l' amore per me stesso..Sento il bisogno di avere più spazio e più tempo. Per me. Io e il sottoscritto da soli” (p. 110).
Questi sentimenti hanno molti nomi: ansia, rabbia, angoscia. Ma sicuramente non la pietà, almeno nel senso generico dato a questo termine. “Amo Moreno. Anche se è handicappato. Non sempre ne sono convinto. Ma fatti due conti non riesco davvero a pensare alla mia vita senza di lui. Nonostante tutto. Però ho perso, non so dove, l' amore per me stesso..Sento il bisogno di avere più spazio e più tempo. Per me. Io e il sottoscritto da soli” (p. 110).
Il racconto
di Virga è un incitamento ad andare oltre la retorica dei buoni
sentimenti, guardando ad una verità che non riusciamo a confessare a noi stessi: la disabilità spaventa o suscita repulsione. L’
autore, raccontando le proprie angosce di padre ci regala la
testimonianza di un amore adulto e responsabile verso il proprio
figlio.“ .. Non posso nascondere che lui mi ha insegnato a
mettere i piedi dove cammino” (p.185).
Umberto Brancia (in uscita sul periodico Vivere insieme)
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