" Adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente, come perfettamente sono conosciuto. Ora esistono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità; ma la più grande di esse è la carità" ( S. Paolo, 1° lettera ai Corinzi 13,1 )

sabato 31 dicembre 2011

Un augurio di buona lettura per il 2012


Questo che si chiude è stato un' anno molto difficile  per chi ama la lettura, e in particolare i libri legati alle tematiche del sociale, del disagio e della solidarietà. Hanno inciso in maniera pesante il taglio dei finanziamenti alla cultura a livello nazionale e locale, ma anche la crisi progettuale dell' associazionismo e delle forze politiche che almeno a parole sembrano interessate ad un dialogo con questi mondi. E' difficile quindi formulare auguri ottimistici, ma non bisogna mai rinunciare alla speranza. Il blog non rinuncerà all' ispirazione che scaturisce dal titolo, cercando nella realtà e nei libri  stimoli inediti per una lettura critica del sociale, dal punto di vista degli ultimi. Spero quindi di riservarvi sorprese e novità anche nel 2012. 
Il video che vi doniamo come augurio per il nuovo anno è la prima parte di uno splendido documentario di Massimo Coppola  sullo scrittore Luciano Bianciardi, l' autore della " Vita agra" e uno degli intelllettuali più indipendenti  della storia del Novecento. Su You Tube potete trovare le altre puntate. Vale la pena segnalare che sono uscite in questi ultimi mesi due ottimi studi dedicati alla figura di Luciano Bianciardi:
-  Pino Corrias, Vita agra di un anarchico, Luciano Bianciardi a Milano, Feltrinelli,  2011, euro 9,00. E' la ristampa, rivista e aggiornata di un libro di vari anni fa, in cui il giornalista ricostruisce con esemplare  vivacità stilistica   le vicende pubbliche e private dello scrittore, alle prese con  il suo rifiuto meditato  di integrarsi nel clima  opprimente  della nascente industria culturale.
- Giuseppe Muraca, Luciano Bianciardi, Quaderni dell' Italia Antimoderata, Centro di Documentazione di Pistoia, 2011,  euro 10,00. Il volume è inserito all' interno di una collana che tratteggia grandi figure di militanti e scrittori che si caratterizzano per un profilo e una storia critica e anticonformista. 
Scrive Attilio Mangano a questo proposito : ".. La figura di Bianciardi campeggia ormai come un classico e continua a consegnarci il ricordo dell' Italia del miracolo economico e del neocapitalismo degli anni sessanta, quella "grande trasformazione" che lo scrittore riesce a cogliere con ironia graffiante, da "cane sciolto" e battitore libero in un mondo che aveva bisogno di irregolari come lui, anche se allora ai riconoscimenti e ai successi si aggiungevano le polemiche e i litigi. Bianciardi non perdeva un colpo e rispondeva a sua volta". 

lunedì 26 dicembre 2011

Uno scenario da incubo

Ecco qualche impressione emotiva dopo alcuni incontri natalizi, in cui erano presenti giovani e anziani. I sentimenti dominanti sono paura e incertezza verso il futuro. Tutti sono arrabbiatissimi per i provvedimenti economici del governo, ma si respira al contempo un forte disorientamento e una divergenza di valutazioni, dimostrata anche dal fatto che  una percentuale soprendentemente alta di italiani  - circa il 57 per cento - concede fiducia nei sondaggi alla figura di Monti, anche se molto meno alle pesanti misure fiscali del governo.
Mi sono chiesto qual' è l' origine di queste ambiguità di giudizio e della sensazione prevalente di scoraggiata attesa. Credo che le ragioni siano due. Innanzi tutto si percepisce che vi è una componente internazionale della crisi, non solo europea, ma mondiale, su cui l' Italia ha scarso controllo e un basso potere di influenza. Si comprende che il destino dell' Italia è legato a quello dei paesi  dell' euro, e sopratutto ad una ripresa del processo di unificazione dell' Europa. 
Un crollo di questo disegno politico  avverrebbe non solo dentro una spirale di recessione economica, che tocca Usa e Cina, ma in uno scenario di guerra che vede coivolti almeno cinque paesi del mondo islamico: Egitto, Siria, Iran, Pakistan e Afghanistan. E tre di questi paesi  rientrano in qualche modo nell' area del  Mediterraneo.
Non a caso poi un arco vasto di forze politiche - dal Pdl al Pd a Vendola - malgrado critiche, riserve e mugugni, rimane in sostanziale attesa: si aspetta che passino questi  mesi più  duri e si chiarisca meglio l' orizzonte verso cui stiamo andando. Gli stessi sindacati criticano fortemente il governo, ma chiedono allo stesso tempo un tavolo di confronto, riconoscendone implicitamente la leggittimità di interlocutore e il ruolo di decisore. L' ovvia conseguenza logica è che nessuna ha una credibile proposta alternativa di politica economica in grado di aggregare consensi vasti. 
Il doppio vincolo in cui tutti si sentono prigionieri è più o meno questo: i sacrifici e le modifiche degli stili di vita dovuti ai vincoli di bilancio internazionali sembrano inevitabili, ma allo stesso tempo c'è il forte timore che siano inutili e che l' aggravarsi della crisi richieda nuove manovre   restrittive per  cinque, sei anni e forse più. 
Una prospettiva da incubo, in cui si inserirebbero con estrema facilità populismi di destra e ribellismi violenti,  contribuendo ad aggravare la disgregazione sociale. Ci muoviamo ogni giorno in questo scenario oscuro, sperando che non precipiti. Mantenere la lucidità e lo sguardo critico sarà molto difficile.

venerdì 23 dicembre 2011

L' editoria sociale: progettare nella crisi

You Tube si è  caratterizzato sempre più come un' enorme, fluviale contenitore, in cui i temi fondamentali del rapporto tra sociale ed editoria emergono con difficoltà in  mezzo ad un' enorme quantità di materiali spesso contigenti e quotidiani. Tenteremo di dare sul blog una breve e ragionata selezione dei più importanti.
Questo video, girato da giovani professionisti in occasione del III Salone dell' editoria sociale a Roma (28 Ottobre -1 Novembre 2011), coglie molto bene alcune caratteristiche dell' editoria sociale in una fase  che vede intrecciarsi un dibattito culturale asfittico e una durissima crisi delle relazioni sociali. E' significativo che questi rappresentanti della piccola editoria cercano una definizione comune di editoria sociale, partendo da progetti culturali diversi e dalle stesse difficoltà economiche. Il pluralismo culturale della società civile si scontra con una dimensione economica sempre più verticale e centralizzata.


lunedì 19 dicembre 2011

I Centri di documentazione e le politiche sociali oggi

La documentazione, come insieme di strumenti di acquisizione e utilizzo delle  informazioni, è un 'esigenza crescente delle società contemporaree, in cui lo sviluppo è   sempre più fondato sul ruolo delle reti e della trasmissione delle conoscenze.
Nel mondo del terzo settore, impegnato da decenni sul problema del disagio,  sono nati una serie di centri e spazi di documentazione, che  rappresentano un supporto prezioso al al rapporto tra i servizi e le famiglie e al lavoro degli operatori sociali. Entrambi si trovano troppo spesso a fronteggiare una serie multiforme e complessa di informazioni, assai difficile da  padroneggiare per chi è portatore di un dramma sociale o di una difficoltà.
I Centri di Documentazione hanno svolto in questi anni un lavoro importante  di coordinamento e di  diffusione dell' informazione sociale, che può divenire ancora più necessario in un' epoca di grave crisi sociale come quella che stiamo vivendo.
Nel n. 4/2011 di Welfare Oggi (già Servizi sociali), rivista edita da Maggioli, un bella intervista a Fabio Ragaini  racconta la lunga esperienza del Centro documentazione e delle altre molteplici attività del Gruppo Solidarietà di Castelplanio (Ancona). L' intervista è disponibile in rete a questo indirizzo: http://www.grusol.it/informazioni/19-12-11.PDF
Tra le iniziative del Gruppo Solidarietà vanno segnalate la rivista "Appunti sulle politiche sociali" e il sito, assai ricco di notizie e informazioni su tutto il terzo settore: http://www.grusol.it


Sui Centri di documentazione:

mercoledì 14 dicembre 2011

Pasolini e il dolore del tempo. Sul libro di Fulvio Abbate

Mi è capitato per due volte di  arrivare  vicino ad un ' incontro con Pier Paolo Pasolini, ed entrambe  le ho mancate. Nel 1967, come racconto ogni tanto  in qualche post, entrai per la prima volta in una sezione del Pci romano, attirato dai ripetuti cartelli dedicati ad iniziative culturali. Da  piccolo provinciale di periferia al primo anno di università,  cercavo un ' ancora per la consueta  ricerca di un'identità adulta, uno spazio per colmare una solitudine troppo dolorosa.
Il primo dibattito, di cui scoprii l' annuncio su un manifesto, lo mancai per una banale influenza: prevedeva proprio l' intervento di Pasolini. Lo scrittore era appena tornato da un viaggio negli Usa e aveva scatenato una delle sue consuete polemiche, inneggiando ai  movimenti dei neri con un articolo su Paese sera: era il giornale popolare della sinistra romana,  molto letto tra gli studenti  per una splendida pagina libri che ci insegnava a fare le prime riflessioni.
Negli anni successivi, trascorsi in quell' orrenda cantina nel quartiere Esquilino, sentii a lungo citare frasi e concetti dell' articolo pasoliniano. e di quel dibattito mancato. All' Università cominciavo a leggere le sue opere più famose e con Accattone e Il Vangelo secondo Matteo costruivo la mia identità di spettatore.
Quasi dieci anni dopo, mentre ero al telefono con la ragazza che poi sarebbe diventata mia moglie,  sentii dalla televisione la notizia dell' assassinio del poeta. Decisi di andare ai funerali, ma non riuscimmo nemmeno ad entrare in Campo de Fiori, tanta era la massa di persone, commosse e silenziose. Rimanemmo ai bordi di Via dei Giubbonari, lo sguardo smarrito e gli occhi inumiditi dal pianto,
Per questo ho comprato subito il libro di Fulvio Abbate, di cui avevo letto per molti anni gli articoli sull' Unità e apprezzato almeno un paio di libri. Per qualche giorno ho esitato ad affrontare il volume. Dopo trenta anni, la mia memoria aveva una sorta di blocco. 
Vivo da trent'anni tra Villa Gordiani e il Pigneto e  sono circondato da frammenti di ricordi ed immagini su  Pasolini intellettuale e regista, le periferie, ecc. (e spesso sono memorie filtrate da un' inevitabile consumismo). Come nota anche Abbate,   l' immagine intellettuale e umana di  Pasolini sembra ridotta nel dibattito pubblico ad una sorta di giallo, un noir sulla ricerca dei suoi assassini - o al massimo una puntata di Chi l' ha visto
Poi ho deciso e ho letto due volte con  interesse e commozione crescenti.


Il coraggio dello scandalo


Innanzi tutto, una notazione. Non lascatevi ingannare dal titolo. Questo non è un libro didattico sull' autore delle Ceneri di Gramsci. Per le conoscenze specifiche che presuppone su di lui e il contesto di quegli anni,  è diretto piuttosto agli adulti che hanno attraversato (e in gran parte dimenticato) i conflitti di questo trentennio. Il libro - bello ed originale -  è sostanzialmente questo: un lungo, appassionato, dolente periplo intorno al pianeta Pasolini, compiuto da uno scrittore che lo ha amato e che ne scandaglia gli anfratti più reconditi, attraverso innumerevoli testimonianze (persone celebri e individui  comuni).
Abbate usa  con grande perizia vari registri stilistici. Quello nostalgico  gli serve per ricordare una capitale scomparsa, la Roma pasoliniana, quella del Tuscolano, di Monteverde, di Gordiani, ecc, una Roma che ben ricorda chi ha più di sessant' anni come me. 
Certi attacchi delle sue descrizioni urbane  rimangono nell' animo per le qualità coloristiche: " ..Costeggiando  una siepe d' alloro, raggiungo e supero viale Palmiro Togliatti. A sinistra, gli archi dell' Acquedotto Felice, a destra le costruzioni dormitorio segnate dalle bandiere da samurai delle concessionarie automobilistiche, vessilli propri delle cinture cittadine ". ( p. 51)
Alla rievocazione commossa di luoghi e quartieri si alternano le testimonianze personali inseguite con caparbia e insieme surreale completezza: Laura Betti, Furio Colombo, Bertolucci, ecc. Qui emerge - duro e inflessibile -  un giudizio politico e morale. Abbate contrappone con giusta durezza il coraggio e la solitudine di Pasolini al conformismo e alla pochezza consumista dell' ultimo ventennio moderato, cui l' esperienza della sinistra non è mai riuscita a contrapporre nessuna reale alternativa, culturale prima che politica.
Un' altro lato di questo libro complesso  è quello del rapporto tra lo scrittore stesso e Pasolini: qui si esercità il rimpianto e il furore polemico di Abbate contro un ceto intellettuale, incapace di essere all' altezza della domande poste da Pasolini e rimaste senza risposta.
La polemica di Abbate con quest' Italia sfatta e conformista echeggia i suoi interventi giornalistici e i suoi monologhi in rete su Teledurruti, che molti conoscono. E' una accusa feroce ad un " paese mancato", che nasconde un sentimento ancora più profondo, di  forte autenticità (almeno per me): una malinconia profonda, struggente  per il tempo trascorso e la difficoltà estrema di vivere in  quello che siamo  destinati ad affrontare oggi.
Il libro è una testimonianza appassionata  di questo dolore, l' addio definitivo ad un ' epoca che non c' è più. Leggetelo, vi farà pensare  sul serio e non ne rimarrete delusi.
Strage di Firenze, 13/12/2011

martedì 13 dicembre 2011

Una libreria per libri "invisibili" al Pigneto

Da tempo seguo con attenzione sul blog la nascita di nuove librerie a Roma, che abbiano un progetto culturale di qualche respiro. Il progetto "Libri invisibili", che si inaugura al Pigneto, merita di essere segnalato con grande calore, per due motivi  piuttosto importanti.Nasce innanzi tutto dall' esperienza e dal lavoro comune di un gruppo di associazioni e case editrici, legate ai temi dell' editoria sociale ( tra cui le Edizioni dell' Asino, la rivista Lo straniero, il Cemea).
I promotori hanno scelto inoltre come sede uno spazio come il quartiere Pigneto, che conosco bene. Oltre ad essere un pezzo della mia storia personale, è uno dei luoghi in cui si sono sperimentati in questi anni alcuni temi complicati di una capitale come Roma: la convivenza nel sociale tra comunità diverse, il precariato giovanile, la ricerca artistica e musicale. Lo sa il cielo quanto c'è bisogno di iniziative come queste nei quartieri delle metropoli che oggi affrontano la crisi sociale.

Venerdì 16 dicembre dalle ore 18:30
in via Fortebraccio 1/a (zona Pigneto - Roma) si inaugura l'associazione - libreria

                              LIBRI INVISIBILI 

ILLUSTRAZIONE | FOTOGRAFIA | GRAPHIC NOVEL | POESIA | NARRATIVA | SAGGISTICA |LIBRI PER BAMBINI OGGETTI D’ARTE E ARTIGIANATO | LABORATORI | MOSTRE | INCONTRI | PRESENTAZIONI. E, NATURALMENTE, ALTRO
 
Uno spazio in città dove ritrovare immaginari e linguaggi, persone e storie. Uno spazio comune dove fare insieme: bambini e genitori, giovani e adulti, italiani e stranieri, artisti e illustratori, fotografi e scrittori. Uno spazio per discutere, riannodare e reiventare, per tessere nuove trame e rispondere al presente. Così abbiamo immaginato una libreria di “libri invisibili".
                                  PROGRAMMA
 - ore 18.30
Guardare, Raccontare, Agire
i “libri invisibili” si presentano
Cecilia Bartoli, Asinitas Onlus
Marco Carsetti, Else edizioni
Goffredo Fofi, Lo straniero
Roberto Koch, Contrasto
Giulio Marcon, Edizioni dell’Asino
Fausta Orecchio, Orecchio acerbo editore
Alessandro Triulzi, Archivio Memorie Migranti
Claudio Tosi, Cemea del Mezzogiorno
Nicola Villa, Gli Asini  

10 anni 100 titoli mostra a cura di Orecchio Acerbo 
Originali di Maja Celija, Mara Cerri, Francesca Ghermandi, Beppe Giacobbe, Gipi, Simone Massi, Lorenzo Mattotti, Fabian Negrin, Maurizio Quarello, Spider
Interventi musicali dei “Pezzi di ricambio”
- ore 20.00
Inaugurazione della libreria
vendita di libri e prodotti artigianali
Cena: è gradita la prenotazione, 12 euro a persona tel. Tadema 328 8414805 

mail: contatti@asinitas.org
 
ELSE - Edizioni Libri Serigrafici e altro
Orecchio Acerbo Editore | Contrasto | Edizioni dell'asino | Gli Asini | Lo straniero | Cemea del Mezzogiorno | Asinitas

venerdì 9 dicembre 2011

"Diamoci una mano": promuovere la cultura a Torino

Avviato presso la biblioteca Levi di Torino il progetto "Diamoci una mano", che coinvolge due delle fasce della popolazione normalmente considerate tra le più deboli, gli anziani e gli immigrati stranieri. La biblioteca, che oltre ad erogare gratuitamente libri di testo è da sempre impegnata a promuovere la cultura in questo che è uno dei quartieri con il maggior numero di cittadini extracomunitari del capoluogo piemontese, si avvale della collaborazione di 20 volontari anziani del Senior Civico che si mettono a disposizione dei cittadini stranieri per corsi di lingua italiana. 
"La collaborazione tra anziani e stranieri", spiegano gli organizzatori, " è incredibilmente efficiente, perché si tratta di due categorie con esigenze molto simili: appartengono alle fasce più deboli della società, dispongono, l oro malgrado, di molto tempo e hanno molto da imparare gli uni dagli altri, proprio perché appartengono a realtà completamente aliene tra loro. Inoltre sono entrambe molto presenti sul nostro territorio, ed è nostro compito tutelarle".
L'entusiasmo dei volontari, molti dei quali ex insegnanti o comunque ex professionisti laureati, e l'interesse da parte degli immigrati, tra cui anche studenti universitari che grazie ai seniores riescono a risolvere i loro problemi con la lingua, hanno decretato il successo di un'iniziativa che si pone tra le tante promosse dalla biblioteca Levi in un'ottica di integrazione e formazione della popolazione. Tra le altre attività si segnalano corsi di alfabetizzazione informatica per anziani, un percorso di introduzione alla lingua e alla cittadinanza italiana (che nell'ultima edizione ha coinvolto oltre 120 donne maghrebine), e un gruppo di lettura di poesia e prosa rumena.

MediaLibraryOnline: la biblioteca digitale metropolitana di Bologna

L'Istituzione Biblioteche del Comune di Bologna e la Provincia di Bologna hanno firmato un accordo per realizzare un servizio sperimentale di biblioteca digitale in ambito metropolitano che si propone di affiancare alle collezioni attualmente presenti nelle biblioteche pubbliche del capoluogo e del territorio (libri, periodici, DVD, CD, ecc.) collezioni digitali accessibili in remoto dagli utenti.
Il servizio offrirà agli utenti la possibilità di fruire di materiali digitali direttamente dalle loro postazioni personali in autonomia e in modo gratuito, 24 ore su 24 indipendentemente dagli orari d'apertura delle biblioteche: l'equivalente digitale delle tradizionali procedure di prestito dei documenti. 
Il progetto, che ha ricevuto il convinto sostegno finanziario della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, prenderà avvio entro il 31 dicembre.

mercoledì 7 dicembre 2011

Capitini e la forza della non violenza

Il volume di Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Le radici della nonviolenza, (Il Margine, 2011, pp. 240, € 16,00) costituisce un' occasione preziosa per ripercorrere ed approfondire con attenzione critica il pensiero e la vita di Aldo Capitini, non abbastanza conosciuti in specie dai giovani. Per molti anni, questo filosofo, politico, pedagogista (e molto altro) era rimasto fuori dalla discussione pubblica. Pacifista e teorico della non violenza, Capitini aveva promosso nel 1961 la prima Marcia della Pace Perugina - Assisi, influenzando un' ampia fronte di ambienti e movimenti, laici e cristiani, interessati al dialogo e alla cooperazione tra i popoli. Quella manifestazione era stata l’ ultimo risultato  di un lungo lavoro teorico e pratico iniziato durante gli ultimi anni del fascismo e proseguito poi nel dopoguerra.
Truini ripercorre analiticamente questo percorso, lavorando sia su una lettura dei documenti (libri, opuscoli, lettere) sia sulle vicende biografiche. 
La ricerca di Capitini intrecciò progressivamente componenti diverse: religiose, politiche e pedagogiche. Il volume ci ricorda come già alla fine degli anni venti Capitini sia stato profondamente influenzato  dalla figura di Gandhi. 
Alla luce di questa esperienza, i tre aspetti del suo pensiero presero vita e forma nel suo animo già  da quel periodo. La ricostruzione tocca tutti gli elementi della riflessione di questo intellettuale apparentemente solitario, ma capace  di influenzare invece i giovani di due generazioni. Sul piano politico, Capitini attraverso il Movimento Liberalsocialista, collaborò con uomini della levatura di  Ugo La Malfa, Norberto Bobbio  e Pietro Ingrao, pur rifiutando sempre di prendere una tessera di partito. 


La non violenza, tra politica, pedagogia e spiritualità

Nel dopoguerra, prima con la sua attività a livello di base, nei comuni e nelle associazioni, poi con la sua ricerca intellettuale, dialogò con figure come Don Primo Mazzolari, Don Lorenzo Milani e Danilo Dolci, che divenne uno dei suoi più vicini collaboratori.
Truini sottolinea lungo tutto il testo come asse centrale dell’ impegno di Capitini sia stata la non violenza come criterio spirituale e pratico.  Da un punto di vista religioso e teorico, l’ atteggiamento della non violenza si fondava per lui su alcuni presupposti conoscitivi. L’ io umano può essere fondato solo su una relazione con un tu, un altro da sé di cui dobbiamo riconoscere la presenza ( e in questa presenza ha un ruolo centrale la natura).
In questa sfera Capitini  formulò la tesi della compresenza dei vivi e dei morti. Solo la disponibilità verso i morti, l’ ascolto della loro presenza può connetterci con i viventi: "..il silenzio dei morti non ci dà l'impressione del nulla, ma ci induce a sentire un rapporto universale e corale con tutti, e proprio dal raccoglimento silenzioso del cimitero esce la nostra coscienza più appassionata nella vita dei valori." ( Educazione aperta, La Nuova Italia, 1967).
Questa visione antropologica, elaborata in solitudine, fuori dagli apparati culturali delle  grandi forze culturali del dopoguerra, non fu mai infruttuosa. Fermentò nelle esperienze più vive di un cinquantennio: il liberalsocialismo; la prima generazione pacifista degli anni 60 e poi l’ impegno civile dopo il 1968 di tanti pacifisti e cristiani critici. Basti ricordare il nome del primo obbiettore di coscienza italiano, Pietro Pinna. A Fabrizio Truini va il grande merito di aver rievocato questa vicenda attualissima, con  efficacia di stile e partecipazione intima. Tutte insieme rendono il libro prezioso.

Per saperne di più

Kaurismaki: l'ironia melanconica di un maestro



Se  amate  il film d’ autore e volete riflettere criticamente su quello che vi circonda, non potete mancare l’ ultima opera di Aki  Kaurismaki, Miracolo a Le Havre. Regista finlandese, di idee progressiste,  ha iniziato la sua carriera come distributore di film e documentarista.  Dopo una rilettura di Shakespeare in chiave antiborghese  ( Amleto nel mondo degli affari, 1987), ha raggiunto il  successo nel corso degli anni novanta con opere ambientate  tra ceti i sociali più poveri ed emarginati. Il regista li racconta con un taglio  pessimista ed ironico.
Basti qui ricordare alcuni titoli, premiati in molte rassegne ( L'uomo senza passato, 2002;  Le luci della sera 2006): opere  che hanno incantato tanti per l’ originalità di una visione che riesce a  fondere  benissimo malinconia e venature surrealiste. Queste  caratteristiche  insolite  ne hanno fatto  una figura unica nel cinema  europeo. Kaurismaki osserva la realtà attraverso il filtro ironico dell’ anacronismo, di cui permea  gli ambienti,  i personaggi e le loro storie. 
Malgrado le vicende dei suoi  film si svolgano spesso in epoca attuale, le scenografie, le musiche, i vestiti degli attori evocano quasi sempre gli anni venti o trenta. Il regista usa per esempio  brani di tango messi in controcanto con la musica rock, da lui particolarmente amata. Per sottolineare molte scene di particolare tensione, che si svolgono comunque ai nostri giorni,  anche  in Miracolo  a Le Havre vengono adoperate le musiche di Carlos Gardel, il famoso compositore di tango argentino.
Altri elementi stilistici  sono la messa in scena e la recitazione: i personaggi dialogano tra loro  in modo distaccato,  quasi epico potremmo dire,  secondo il modulo brechtiano,  senza avere  però le forzature ideologiche del drammaturgo tedesco. Pronunciano frasi brevi e contrapposte in modo da suscitare effetti stranianti, non realistici. Il dato più interessante è il fatto che il regista mette queste forme della narrazione  al servizio di storie con una forte carica umanistica.  Il suo mondo sono gli umiliati e offesi, quelli che la vita ha tradito e isolato e la sua macchina da presa li osserva con occhio distaccato e commosso.


Commozione e  ironia favolistica


Si veda in questo film la figura di Marcel Marx. Il cognome può ricordarvi a scelta Karl o Groucho, mentre  il  nome è ovviamente  un omaggio ai film populisti del regista Marcel Carné. Lui è stato uno scrittore famoso,  rovinato  da una vita smodata e finito a fare il lustrascarpe. 
Questa professione   gli permette però  di rimanere vicino ai suoi amici, che Kaurismaki veste e fa parlare come personaggi dei film francesi degli anni quaranta: portuali  bruschi, ma dal cuore d’ oro; commissari di polizia meno brutali che all’ apparenza, e una moglie che sopporta serenamente le sue stramberie. La donna si chiama  infatti  Arletty,  come l’ attrice protagonista del celebre film di Carné, Amanti perduti. La citazione in questo contesto   ci invita al ricordo   di un film  fastoso  e melodrammatico che il regista usa come un preciso riferimento emotivo. 
In questo ambiente quasi da favola entra in scena la realtà. Un ragazzo, arrivato clandestinamente con un gruppo di emigranti, incontra il protagonista e affida a lui il suo destino. Non diremo ovviamente il finale, ma alcuni avvertimenti allo spettatore vanno dati. Il regista vuole  mettersi  dal punto di vista dei suoi personaggi poveri e perseguitati dal potere della polizia e dai borghesi razzisti. Ma non usa nessuna proclamazione  ideologica o una scontata verità  politica. Non vi rinuncia: vuole piuttosto che la ricaviamo noi dall’ andamento della storia. 
A conferma di quanto il suo sguardo sia critico e fermo, si badi ad un altro dato paradossale. Ad un anziano Jean Pierre Léaud – l’ attore icona di Truffaut in tanti suoi film - ha affidato la parte di un laido e violento borghese,  che passa le giornate a spiare un clandestino fragile e senza difese.
Intendo dire insomma che non ci si deve far ingannare dai toni sentimentali e gradevoli del film, dai colori ben scelti e dalla bontà dei  protagonisti. Dietro la tonalità favolistica,  c’è la visione crepuscolare e pessimistica di un intellettuale che dice allo spettatore:  in questa favola c’è più dolore e realismo di quanto tu immagini. E  guarda caso, nelle favole è proprio così.

( in uscita sul mensile Confronti)



mercoledì 30 novembre 2011

Vittorio De Seta: il pudore di un maestro




Ieri  è stata una  giornata molto triste  per le notizie su tre morti, che rappresentavano in  modi diversi un pezzo della mia personale memoria culturale. Lucio Magri e Saverio Tutino  erano parte di una memoria politica,  quella del Pci degli anni sessanta e settanta: gli entusiasmi per la tumultuosa  rivoluzione cubana, che aveva abbattuto un dittatore sanguinario, e l’ ingraismo, con il suo fervore di ricerca, ma anche le tante ambiguità che  lo avrebbero portato  ad una dispersione  disperante.
Come sempre  accade, è l’ immaginario a muovere le nostre emozioni. A colpirmi profondamente è stata la morte di Vittorio De Seta. Per tanti della mia età, negli anni della formazione, il cinema ha svolto un ruolo formidabile di  crescita critica e di apertura emotiva alla realtà: dopo anni di satira ridanciana e sciocco, forse oggi andrebbe rivisitata l’ utilità pedagogica di un mondo che è apparso ingenuo a molti.
Vidi  Banditi a Orgosolo -  la prima opera del regista siciliano, presentato a Venezia nel 1961 - in un cineclub romano  che avevo cominciato a frequentare verso il 1965, su suggerimento di alcuni professori del liceo.
La vicenda di un pastore sardo, divenuto delinquente per  bisogno, entusiasmò tanti per  il taglio politico, che De Seta però non amava esplicitare troppo nel suo cinema : le opere “ impegnate”  di altri registi  sarebbero venute dopo, mentre  lui usava un pudore e una antiretorica ammirevoli. Colpiva piuttosto l’ attenzione all’ ambiente sociale e all’ umanità dei  personaggi, che il regista raccontava con una discrezione  partecipe. Erano qualità che venivano a De Seta dal suo lavoro di documentarista, ma non solo. C'  era molto di più.


La scuola e la borgata


Una nuova  sorpresa venne nel 1972 con Diario di un maestro (1972), trasmesso  in quattro puntate l' anno dopo. Tratto dal libro autobiografico di Albino Bernardini, Un anno a Pietralata,  narrava con uno stile lineare, semplice solo in apparenza,   le giornate di un maestro elementare in una borgata romana. Il film intrecciava l’ analisi della  soffocante burocrazia scolastica con la denuncia dell’ emarginazione di un gruppo di ragazzi  sottoproletari, ammirevoli per la vivacità e  il desiderio  di libertà.
De Seta dimostrava un controllo rigoroso degli attori e dell’ambientazione, mettendoli al servizio della sua passione civile e umana. Fu un vero e proprio successo  di massa, aiutato dalla bravura di un attore come Bruno Cirino, ma anche dal clima culturale e sociale  dell’ epoca che vedeva nella  scuola uno spazio indispensabile di crescita civile e di riforma della società. Erano gli anni dei decreti delegati sulla partecipazione delle famiglie alla vita scolastica. Non andò così, purtroppo, e in pochi anni quelle speranze si spensero.
Dopo il Diario di un maestro, De Seta si appartò: il cinema stava andando sempre di più verso le peggiori derive commerciali e lui amava pensare a lungo i suoi progetti. Nell’ ultimo decennio, si segnalò di nuovo per due opere molto belle e piene di stimoli : In Calabria ( 1993) e Lettere dal Sahara (2004), che  mettevano insieme  il suo istinto di documentarista e l’ attenzione alla nuove  ansie della società ( l’ emigrazione, ecc.).  
C’ è una sua frase che lo racconta meglio di ogni discorso critico: " Lo sguardo neutrale è una menzogna, specie nel mio lavoro, dove basta spostare la macchina da presa di pochi centimetri perché tutto cambi ". La sua morte è stata una perdita vera per il nostro paese, o almeno per quella parte che vuole continuare a pensare.

Su You Tube vi sono molti materiali sul regista, tra cui la versione integrale di Banditi a Orgosolo. Su questo link trovate tutte le puntate di Diario di un maestro: 


http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-311752ae-09f4-4b9a-a3c4-2fa45587d401.html?#=

domenica 27 novembre 2011

Tra paura e speranza: una serata per la rivista "Confronti"



Quando ieri sera sono entrato  alle 20,30 nel salone della Chiesa metodista di via Firenze 38 (angolo via XX Settembre) per la cena di sostegno alla rivista “ Confronti”, ero molto timoroso, pieno di ansie. Confronti ( e prima il suo precedente storico, il settimanale COM - Nuovi tempi) sono stati il mio spazio elettivo di impegno pubblico, per quasi trent’ anni ( insieme a qualche altro luogo, che oggi langue o è scomparso per sempre ). Non è stato un impegno continuativo, come è tipico di un’ attività volontaria, ma ha  assorbito comunque una parte notevole della mia vita. Come accade per ogni esperienza concreta, a questo lungo periodo sono legati emozioni (e conflitti)  profondi, mai banali.
Mentre entravo, mi sono riapparse per un momento alla mente immagini della lunga vicenda di questo mondo di “cristiani critici”, in cui abbiamo discusso e ci siamo arrovellati intorno ai principali avvenimenti della vita pubblica, italiana e addirittura mondiale. In quel palazzo grigio e austero della Roma umbertina, ho visto  riunioni di redazione affollatissime e momenti di triste difficoltà, segnati sempre da una passione genuina per l’ analisi politica e sociale, per i buoni libri e le idee. Lì ho imparato a scrivere decentemente un articolo o la recensione di un libro. E ancora oggi non sono sicuro di averlo imparato bene, se non mi confronto con gli articoli degli altri: anche questa è una peculiarità delle riviste.
Aperta la porta del salone, ci hanno investito i rumori e le voci di un centinaio di persone, che cominciavano a bere e a mangiare. Ho tirato un sospiro di sollievo, come era accaduto in tanti altri casi: era andata bene, era andata bene! La redazione e i membri della cooperativa, impegnati in questa iniziativa di sostegno alla sopravvivenza  del giornale, avevano lavorato  per varie settimane  affinché la serata riuscisse.
Le riviste indipendenti di cultura vivono proprio così questa fase molto difficile del mondo editoriale: tra paura e speranza. La fattura della rivista si intreccia a fatica con le iniziative di solidarietà, le relazioni culturali e tanto lavoro volontario. Sono una ricchezza del nostro tessuto culturale profondo, che tiene aggregati mondi  diffusi, segmenti di realtà sociale ignorati  dal circuito ufficiale dei media.
Per due ore, ho stretto la mano a tanti amici recenti e a volti che non vedevo magari da vent’ anni. Non c’ era nell’ aria nessun atteggiamento da reduci, se non forse una sotterranea malinconia per il tempo trascorso e per le ulcerazioni di  un panorama politico ed economico molto simile alle rovine di un terremoto. 
Si discuteva su come salvare la rivista e si pensava a nuovi progetti. Un’ altro dato mi ha consolato, andando via: ho visto molti giovani che non conoscevo e che erano lì  per aiutare – e non solo per mangiare! Le riviste sono anche questo: una palestra, uno spazio per quei ventenni che hanno voglia di guardare il mondo con sguardo critico. Non dovremmo dimenticarlo mai.
La crisi della nostra rivista non è ancora superata, ma sabato sera è stata una tappa importante.

sabato 26 novembre 2011

Libreria Ya-Ya: c'è del nuovo a Villa De Sanctis

L' Italia è un paese curioso, che a volte desta speranze imprevedibili. Mentre ho registrato su questo blog la crisi delle piccole e medie librerie, spesso mi è capitato di notare in giro un fenomeno opposto: l' apertura di nuovi spazi dedicati al libro e alla lettura, non solo nei piccoli centri, ma anche nelle grandi città. Si tratta di iniziative di singoli che tentano la strada dell' impresa autonoma, o magari  di un gruppo di operatori che mettono in rete due o più sedi di librerie, costruendo un piccolo circuito.
Sono librerie indipendenti che integrano l' attività commerciale con l' animazione culturale e sociale, cercando di trovare un segno di originalità che le aiuti ad emergere dall' anonimato e ad attirare i lettori. Ovviamente faticano molto ad affermarsi e a sopravvivere. Mi è capitato di vederne molte nella mia vita, ma la più curiosa l' ho incontrata proprio nel mio quartiere, a Villa de Sanctis ( conosciuto da molti con il vecchio nome di Casilino 23).
E' una libreria che nasce all' interno di un mercato che occupa la nostra tranquilla piazza, dalle atmosfere  che evocano il cinema italiano  degli anni 60. Conoscevo molte librerie negli ospedali, nei grandi centri commerciali, ma non ne avevo mai viste una tra i box della verdura e del fornaio. A Villa De Sanctis  mi è capitato di scoprire la prima. 
La strada stimola la curiosità e mi sono precipitato a vedere, scoprendo una libreria autentica, ben organizzata, con sezioni aggiornate, colori vivaci e grande cortesia. Altro lato positivo, la possibilità di prenotare le ultime novità. Tra i volumi sugli scaffali sono presenti temi adatti ad un quartiere che non vuole perdere il legame con i buoni libri: romanzi, saggistica, psicologia e questioni sociali.
I proprietari sperano di poter aprire tra poco un' altro box per uno spazio dibattiti. Sono tornato a casa  più contento. D' ora in poi, oltre ad acquistare le merci della spesa quotidiana, quando ne avrò voglia,  farò una sosta per curiosare tra le novità librarie e comprare qualcosa per me o un regalo per un 'amico. Se capitate a Villa De Sanctis (p.zza Pecchiai, zona Prenestino-Centocelle), provate anche voi e  fate una sosta alla Libreria YA-YA (tel. 339.8470911). Non ve ne pentirete.

venerdì 25 novembre 2011

Le biblioteche, la lettura e il territorio: le analisi di Giovanni Solimine

Giovanni Solimine è uno tra i maggiori esperto di problemi delle biblioteche e della lettura. Ne ha scritto a lungo: basti citare qui il suo ultimo volume L' Italia che legge, Laterza, 2010, che riassume bene lo stato drammatico della diffusione della lettura e suggerisce  precise proposte. Le percentuali di lettura nella popolazione sono basse da molti anni e arrivano a male pena al 40%: le statistiche dell' Istat  lo dimostrano benissimo.
Scarseggiano poi le politiche di intervento pubblico e l' iniziativa privata è concentrata troppo sulla promozione dei best- seller. Tra le conseguenze vi è un dato che il dibattito pubblico discute poco: la crisi delle biblioteche pubbliche come strumenti di trasmissione della memoria e dell' identità culturale del paese. 
Solimine conosce bene l' argomento sia dal punto di vista degli operatori professionali che da quello delle istituzioni. In questo mese mi è capitato di tornare a riflettere nel blog su questi aspetti che riguardano la crescita culturale del paese. Spesso, quando uso le biblioteche in periferia, devo riflettere dal vivo, per dire cosi', sul ruolo decisivo che la politica di promozione della lettura può svolgere per educare alla cittadinanza una società civile in disgregazione. Si ritrovano in biblioteca giovani studenti che non trovano più in un  territorio in convulsione nè presenze politiche significative nè  un associazionismo in grado  di proporre proposte di qualità e spessore nazionale.
Il Sistema delle Biblioteche di Roma era stato potenziato e ristrutturato negli anni delle giunte di centro - sinistra  ed era stata organizzata negli anni passati una quantità esemplare di iniziative. Oggi il disinteresse della giunta Alemanno si sposa alla crisi sociale in atto, e per una metropoli come Roma le conseguenze si vedono.
Per questo dedico a questi temi, al destino delle librerie e delle biblioteche tutta l' attenzione possibile, pubblicando anche le news di iniziative piccole, ma che esprimono un bisogno latente.
Le idee di Solimine aiutano a riflettere su queste questioni. 

giovedì 24 novembre 2011

Il libro di Sandro Ferri e una serata deludente

Quando è uscito il libro di Sandro Ferri sull' attività della sua casa editrice ( I ferri del mestiere, E/O, 2011), in cui l' editore racconta le proprie esperienze, i metodi di lavoro e gli interrogativi, l' ho letto immediatamente con grande entusiasmo. Il libro è scritto benissimo ed illustra con chiarezza i dilemmi seri che affronta un editore di cultura, preso nel vortice dei cambiamenti che stanno sconvolgendo il mondo editoriale. 
Le nuove tecnologie permettono ormai di pubblicare in proprio un libro, anche se  rimane all' autore l' onere pesantissimo della promozione. Termini come self-publishing, print on demand stanno diventando familiari ad un pubblico vasto, che vuole scrivere e comincia a guardare con diffidenza alla costosa mediazione dell' editore. Ormai alcuni dubitano sull' utilità stessa della funzione dell'editore: anche perché nelle grandi case editrici quella funzione la svolgono ormai dei manager
D' altro canto, le case editrici, che si dedicano ad un progetto culturale rigoroso, sono oppresse dalla marea di manoscritti di chi aspira ad una folgorante carriera come autore, oltre che dalla concorrenza spietata delle grandi corporazioni editoriali. Ferri illustra questi problemi (e molti altri) con perizia narrativa e molto umorismo (ed è uno dei meriti del libro  che si legge d' un fiato, come si usa dire! ). Ci introduce nel laboratorio dell'editore di cultura con passo tranquillo e disincantato, fornendo al lettore ( e all' aspirante scrittore)  una guida per orientarsi. 
In sintesi, un libro che consiglio con calore. Con questo spirito sono andato ad ascoltare la presentazione del volume alla Libreria Feltrinelli, qualche giorno fa. Una serata piacevolissima, in cui il volume ha avuto un giusto  battesimo. Ma sono tornato a casa con una delusione. In mezzo a interventi divertenti e acuti di molti operatori del settore, ho visto circolare uno sconcertante snobismo verso le  trasformazioni in atto, che sembravano suscitare nei partecipanti ironia e distacco. 
Venivano denunciate le ingenuità e la soffocante diffusione dell' aspirazione alla scrittura.  Sono caratteristiche  in un gran parte vere, ma a me, che non sono nè un letterato, nè un editore di professione, ma uso solo di un po' di sociologia spicciola,  è venuto in mente una domanda. Possibile che non si rendessero conto che la diffusione di massa del bisogno di scrivere, di esprimersi, di essere presenti è un fenomeno culturale inedito, ma assai fecondo? Chi percorra questo spazio virtuale, fatto di blog, di siti letterari, di e-book, ecc. scopre un formidabile deposito di aspirazioni, sogni, incubi. Un deposito fangoso, che però dovrebbe essere utile per il lavoro di un editore che vuole promuovere i propri libri e la lettura. Non parliamo poi per la scuola,
Ma forse si trattava solo di uno snobismo difensivo di intellettuali un po' affaticati  e le mie erano le ubbie di un vecchio pensionato. In ogni caso, il libro di Sandro Ferri va letto: vi divertirà e  aiuterà ad affrontare il viaggio dei principianti nel mondo dell' editoria.


Per saperne di più:
http://www.edizionieo.it/news_visualizza.php?Id=454
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/tecnologia/grubrica.asp?ID_blog=30&ID_articolo=9768&ID_sezione=38
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/giornalisti/hrubrica.asp?ID_blog=285

Se chiude una libreria, siamo più poveri

La chiusura della libreria Croce a Roma è un evento molto doloroso per chi ha amato la nostra città, e conosce un po' la funzione animazione civile che vi hanno svolto le librerie. Uno delle questioni centrali delle trasformazioni violente in atto nel mondo editoriale è proprio quella delle librerie. La diffusione nelle grandi città delle librerie di catena, espressione di grandi monopoli editoriali che ormai operano su scala europea e mondiale, sta espellendo dal mercato le librerie piccole e medie, che non reggono la concorrenza.
E' un tema di cui si discute da una decina di anni almeno, e non è solo italiano. Sulla situazione inglese scrive a questo proposito Enrico Franceschini: " ..Dal 2005 ad oggi il numero delle librerie in Gran Bretagna si è dimezzato: sei anni fa ce n’erano poco più di 4 mila, oggi ne sono rimaste aperte solo 2178. Quasi duemila librerie hanno dovuto chiudere e cessare l’attività, messe in crisi dalla crescita delle ordinazioni via internet (su Amazon e altre librerie online che spediscono a domicilio i libri acquistati dai clienti sul web), dal boom degli e-book e dagli sconti praticati dalle grandi catene e dai supermarket. Il risultato è che oggi un totale di 580 città britanniche non hanno nemmeno una singola libreria."
Il problema dovrebbe interessare non solo i piccoli e medi editori, legati ad una produzione di qualità, ma anche gli intellettuali e l' associazionismo. Per fortuna, dopo anni di silenzio in cui si è sperato e si è dipeso troppo dall' aiuto pubblico, da  un po' si discute di questo tema e vi sono iniziative concrete. Penso all' apertura di librerie Coop, come quella Ambasciatori di Bologna, che conosco abbastanza bene e che porta l' impronta di un grande librario come Romano Montroni. O ai recenti dibattiti sul sapere come bene comune e sull' impegno civile e la la letteratura, che hanno coinvolto gli scrittori tra i trenta e i quarant' anni. 
La soluzione possibile , da cui purtroppo siamo ancora lontani, risiede ancora una volta nell' associazionismo, nella costruzione di rapporti di rete che mettano in connessione scrittori, case editrici e pubblico interessato a temi di impegno civile e solidarietà. Uso una parola molto nota a chi ama la storia italiana: mutualità.
L' editoria di progetto non è un residuo aristocratico della modernità borghese rispetto al nuovo post- moderno della globalizzazione. L'esplosione della crisi europea ( e mondiale) rimanda interrogativi etici, sociali, ecc. che non possono essere affrontati dalla produzione seriale su scala mondiale. E si tratta di domande che toccano le scienze sociali e psicologiche, ma anche la letteratura, il diritto, il giornalismo e i media,  ecc. Parliamo insomma di  risorse preziose per un paese che voglia pensare al proprio futuro, scommettendo su ricerca, sperimentazione e libera discussione. 

Per saperne di più




mercoledì 23 novembre 2011

Separarsi a Teheran




 Non succede spesso che tutta la critica sia d’ accordo nell’ elogiare con aggettivazioni significative un film. Invece è  accaduto quest’anno per Una separazione di Asghar Farhadi,  film iraniano che all’ultimo festival di Berlino ha avuto l’ Orso d’ Oro, oltre che delle  vere e proprie ovazioni. Il  regista è nato  a Ispahan nel 1972, ha studiato letteratura, cinema e teatro, facendosi notare con le sue prime opere per l’ acutezza e l’ originalità dei temi. In questo film raggiunge, come si usa dire, una piena maturità.
Al centro della vicenda c’è una giovane coppia di estrazione medio - borghese, che si presenta dal giudice  per una decisione lacerante:  Simin, una donna energica e volitiva, vuole divorziare dal marito Nader. Dopo molte difficoltà burocratiche hanno ottenuto il permesso di  trasferirsi all’estero per dare alla figlia un’ avvenire migliore, ma il marito si rifiuta di  abbandonare il padre malato di Alzheimer, e bisognoso di assistenza costante. Nader si mette alla ricerca di una badante  e trova alla fine una giovane donna di estrazione popolare. Ai conflitti dolorosi che nasceranno dal nuovo arrivo  assiste la figlia che subisce con grande turbamento la separazione dei genitori.
La narrazione si sviluppa attraverso gli appartamenti dei protagonisti e le strade della capitale, fornendoci innanzi tutto un ritratto sociologico dell’ Iran di oggi descritto con oggettività e attenzione umana. La coppia medio- borghese è divisa tra la fedeltà alle tradizioni culturali e i nuovi modelli della modernità e del consumo. L’ arrivo nella casa di una giovane di diversa estrazione sociale mette in evidenza abitudini e modi opposti di guardare alle fede religiosa e  ai comportamenti quotidiani. La vita della città è descritta dal regista come uno spazio congestionato in cui  questi contrasti sociali modificano le psicologie e gli stati d’animo, provocando dolore e tensione. Ciò che colpisce del film è lo sguardo con cui queste tensioni vengono raccontate, uno sguardo privo di compiacimento o di pesantezza.  Il regista non cede ad un sociologismo facile, né al rischio del sentimentalismo. Il film procede attraverso continui  rovesciamenti di posizione, in cui le ragioni di un personaggio sono in qualche modo contraddette da quelle dell’ altro.
Il tutto avviene  non in modo meccanico, ma per un preciso intento stilistico, e – oserei dire – morale. Tutti i contrasti  emotivi e socio-culturali sono raccontati con  una commovente e  oggettiva  partecipazione. I due protagonisti principali non riescono a rinunciare alle proprie motivazioni personali e non comprendono nulla delle ragioni dell’ altro. La famiglia della badante, che provocherà la deflagrazione della vicenda, ci appare prigioniera di altre   contraddizioni: il bisogno di danaro viene a configgere con le prescrizioni della fede religiosa, vissute in modo rigorosamente ortodosso. Di tutti ci rimane comunque la verità del loro mondo emotivo.
 Il  tema sotteso al film è quello della scelta, a cui siamo sempre chiamati nella nostra esistenza: e le scelte producono comunque sofferenza e separazioni. Con una freschezza ammirevole, la macchina da presa  ci lascia nella memoria  volti, suoni e colori. Da non mancare.
( In uscita sul mensile Confronti)

martedì 15 novembre 2011

Un ricordo di Alessandro Scansani, fondatore della casa editrice Diabasis

Prima di  scambiare un paio di brevi conversazioni telefoniche con Alessandro Scansani, risalenti ormai a quattro anni fa, conoscevo  solo superficialmente  la vasta produzione della casa editrice Diabasis, da lui fondata e diretta. Mi capitava  da giovane di   cercare  nelle librerie  qualche libro su quei temi che  mi occuparono la mente per molti anni nella vita politica e sindacale: le scienze umane, la sociologia e la storia. Cercavo confusamente un riformismo che  mescolasse insieme l' interesse per il pensiero sociale cristiano e la tradizione del socialismo riformista europeo. 
Ero un cattolico percorso da mille dubbi e un militante comunista in quegli  anni settanta - ottanta in cui sembrava a molti di noi che il Pci potesse divenire forza di governo, con un' autentica spinta riformatrice: l' esperienza di regioni come l' Emilia stava lì a dimostrarlo. In alcuni dei titoli pubblicati dalla Diabasis trovai molti argomenti per una prospettiva culturale e politica, che si chiuse poi con un fallimento storico, per ragioni oggi del tutto evidenti.
La fine della militanza politica e la presenza in famiglia  di un figlio affetto da una forma lieve di autismo (la Sindrome di Asperger) mi spinsero già più di dieci anni fa a ripensare a tutta la mia esperienza e  a impegnarmi nel mondo del volontariato per assicurare a lui e ad altri disabili psichici  un ruolo nella vita e nel lavoro: possibilità che oggi assai difficile, come è noto. 
Nel 2006 ho scoperto per caso che Marco dopo i venti anni si dedicava a scrivere in totale solitudine frammenti poetici e narrazioni ripetute dei suoi lunghi anni di malattie infantili: dolori fisici, che avevano anticipato  il suo disagio psichico. Dal nostro dialogo ne scaturì un libro, scritto a due mani: Non avevo le parole. Riuscimmo a farlo accettare dalla casa editrice Città Aperta e per un paio di anni  Marco fu impegnato in una girandola di presentazioni ed incontri che gli tennero vigile la mente per molto  tempo.
Nel 2008  mi accorsi che continuava a scrivere, esprimendo  forti emozioni di solitudine e disagio, specie per la precarietà del suo lavoro. Decisi di pubblicare allora un volume autoprodotto di nuove poesie di Marco, intitolato: Per parlare con la gente. Amici generosi mi suggerirono di aggiungere ai testi una breve presentazione e mi indicarono il nome di Alessandro Scansani. Ebbi  quindi modo di conversare brevemente al telefono con lui   sul libretto che stavamo mettendo insieme e sulla nostra esperienza familiare.
Scansani ebbe parole di ammirazione per la sensibilità di Marco e mi fece avere poche pagine di commento, che ci commossero per la loro intensità. A proposito della nostra esperienza familiare, diede questo giudizio : " Tu e tua moglie siete stati all' inferno e siete tornati ". In un altra telefonata, mi fece un breve e significatico accenno al cancro che lo aveva colpito da qualche anno. Ci salutammo con la promessa di conoscerci se fosse venuto a Roma. Tempo dopo ne ho appreso la scomparsa.
Molte e differenti sensazioni mi sono rimaste di quel brevissimo rapporto.  La cortesia di un editore di grande valore nel rendersi disponibile per un piccolo libro autoprodotto; la sensibilità spirituale verso quei temi del disagio e dell' emarginazione che ormai da molti anni erano al centro dei miei progetti; il desiderio di conoscere più a fondo una produzione editoriale rigorosa, di cui oggi si sente sempre di più la necessità  in un mercato  dominato dalla riconcorsa al best- seller.
Dopo la sua morte, avvenuta quet'anno, malgrado alcuni interventi molto  qualificati, mi ha colpito come si sia parlato abbastanza poco sulla stampa  della figura  di Scansani e del suo lavoro come fondatore della casa editrice.
Questa piccola testimonianza privata ha per me un  significato riparatore, da lasciare nel mare tempestoso della rete: un piccolo messaggio nella bottiglia. Per questo ripubblico nel blog una parte della sua prefazione a Per parlare con la gente. Ma c'è un altro aspetto che oggi mi colpisce ancora di più. Ora che il tema della malattia, del tumore è entrato nella mai vita, il ricordo di  quelle brevi conversazioni si è fatto più struggente e necessario. E per questo trovate qui un terzo, breve contributo: un breve scritto di Scansani dedicato alla sua malattia, che ho trovato in rete e che testimonia ancora una volta la qualità etica dell' uomo.


Link
http://www.diabasis.it/database/diabasis/diabasis.nsf

Le ultime riflessioni di Scansani: etica, politica, fede cristiana


GIORNALE MINIMO
Marzo 2011

Riemergo dopo tre anni di sofferenza civile e di dolore fisico per un tumore, con poca voglia di moralismi in grasse mutande alla Ferrara barattate per libertà e per un presidente, delle cui balle siamo stanchi e di cui ci vergognamo, un presidente ridicolo con nessun rispetto delle regole, chiunque sia a portarle o a doverle portare, se le regole si devono portare. Non sono mai stato comunista, per cultura, sono stato duramente antifascista con rispetto attuale per Fini, coscientemente repubblicano, e socialista municipale. Sappiamo che la sinistra cela la realtà, la destra spesso la svela. La sinistra rischia di nascondere, non vedere, la destra invece di vedere. Ho apprezzato e apprezzo alcuni ministri e sottosegretari, vedo con disgusto e con vergogna quel codazzo di servi sottosegretari e ministri piduisti di avvocati portati in Parlamento, gli esperti! per salvare Berlusconi dalle istituzioni, dalle regole dagli errori mai ammessi. Se ne torni a casa, alle sue ville, il puritanesimo falso, il moralismo famigliare. E anche la Chiesa con questo presidente ha imparato a vergognarci: la grande Chiesa che fa orrore e la piccola Chiesa che fa tenerezza, come Macondo.
Se può liberi anche la Mondadori!
L’editoria ha consumato troppe parole, e la cultura vive di parole che sono vive e libere e che non possono continuare a vivere con vergogna nella menzogna di un popolo. Che qualcuno abbia anche il coraggio o l’orgoglio di dire no. Non è lo stesso personale nuovo, sul tipo di quello napoleonico, che creò una nuova classe politica, amministrativa, militare. Questa, invece, è una classe politica a cui la cultura, e la cultura politica, non interessano, che ride, che si diverte, che non ha il senso della solidarietà, che non ha cura dei nostri figli, che baratta la cura dei tumori per il milleproroghe. Mi auguro che mio figlio rimanga ancora a lungo al suo dottorato di Honkong.

Per saperne di più

http://www.diabasis.it/database/diabasis/diabasis.nsf/pagine/BBBAC06B77346ED0C125789900492B1D?OpenDocument

L' innocente tensione della poesia


Pubblico un brano della prefazione di Alessandro Scansani  al libretto autoprodotto  di poesie e pensieri di Marco,  Per parlare con la gente ( Roma, 2008)
Il libro di Marco Brancia, può essere letto, suggerimento a posteriori in due modi  differenti: una liberatoria “poesia di occasione”, in cui il bisogno di comunicare- dando al bisogno quella forza di forza e intensità di espressione che solo una delle arti consente- è l'elemento dilettantescamente prevalente, con valore per la propria biografia e per le proprie relazioni amicali, oppure “una poesia dell'incosapevolezza”, capace di rivelare qualcosa di nuovo,  come in una piccola epifania feriale, nella piccola culla delle parole.
Credo che Marco Brancia, di cui so solo e ho voluto sapere prima di leggere e di scriverne, che ha ventinove anni ed è fuggito o in fuga dai rombi del silenzio e di paura di una fortezza vuota che  lo aveva imprigionato fin da bambino, vada letto nel secondo modo. E ho letto con innocenza ermenutica e disponibile allo stupore, senza pregiudiziali critiche senza compassionevoli pacche sulle spalle, trovandomi di fronte a una scrittura e a un teso di pensieri capaci di sorprese, capaci appunto, nelle loro ingenuità, incosapevolezza poetica, come gli inconsapevoli sorrisi dell' autore: “ il sorriso spontaneo mi viene spontaneo/ il sorriso è parte di me.”
Molti di questi testi sono nati, in modo tutto loro, di tensione poetica, come l'epifania di boccioli di campo o di siepe che trapelano appena il loro colore. (…) I pensieri poeticamente pensati da Marco Brancia (la indisciplina della percezione poetica- rispetto alle regole, alle consuetudini alle norme, offre varchi particolari e preziosi, dicevo, esprimere e liberare un umanità in qualche modo segregata) riescono a riabilitarci, come lettori  delle diverse abilità di sguardo e di commozione che abbiamo, induriti come una pellaccia greve alla dolcezza e all' innocenza. E' una riabilitazione all'altro-di noi smarrito nel frastuono del mondo.
Per afferrare il mondo e relazionarsi a esso, l'autore si è dato un suo linguaggio, nella morfologia usuale della lingua e della grammatica italiana, ma concettualmente intenso e nuovo: primordiale e sofisticato, anche elegante nelle immagini, nate dall'immediatezza intonsa , non consumata , di una percezione e di un bisogno. Senza mai tono sentenzioso- la terra libera gli è probabilmente recente- i suoi versi sferzano talora il mondo con l'innocenza giosa del bimbo che rivela il reale:.
- Ma il re è nudo: Il Mondo è nudo.Versi forse poeticamente consegnati, ma liberatori. Liberatori per il lettore. E' un linguaggio che rinnova e trasmette all' esterno la vita in un rapporto sempre stretto con il corpo, materia prima e profonda da restituire alla poesia: il corpo come medium tra qualche cosa verso cui uscire, staccare il volo, e qualche cosa verso cui rientrare, capace di dare significato alla vita, e di darle quella gravità terrestre, dolorosa e gioiosa necessaria, sulla terra a portare un anima….

Sindrome di Aspersper e formazione superiore

Enrico Valtellina (a cura di)
Sindrome di Asperger, HFA e formazione superiore. Esperienze e indicazioni per la scuola secondaria di secondo grado e l’Università
Edizioni Erickson, 2010,18 euro, pp. 132,

Con grande fatica e difficoltà, negli ultimi anni, si è affermata tra gli specialisti e nel sentire pubblico  una maggiore sensibilità  verso le problematiche poste dall’ integrazione sociale e scolastica dei giovani con Sindrome di Asperger. Vi hanno contribuito l’ impegno costante delle associazioni e delle famiglie, ma anche  l' attenzione mediatica di film e trasmissioni televisive ( spesso fuorvianti, purtroppo). Questa sindrome, definibile anche come autismo ad alto funzionamento ( HFA),  riguarda quei giovani, che  conservano intatte le  funzioni dell' intelligenza e manifestano un' alterazione dei rapporti sociali ( comportamenti stereotipati, interesse limitati e ripetitivi, ecc.)
Per questi giovani, l' integrazione nella scuola è una possibilità concreta a patto che sia sostenuta da una visione lucida del problema e da un' autentica collaborazione tra scuola e famiglia. Questo libro, che raccoglie  contributi di vari autori,  affronta il tema della formazione superiore delle persone con sindrome di Asperger:  gli interventi  danno ampio  spazio  alle  voci di importanti professionisti del settore (Andrea Canevaro, Flavia Caretto, e altri) e di genitori che hanno scelto la strada impegnativa e difficile dell’ aggregazione sociale, dell’ impegno civile giocato in prima persona ( Fabrizia Bugini, Laura Imbimbo).
Il volume non vuole essere solo una riflessione teorica
, pure necessaria ed importante. Accanto al racconto  di  esperienze vissute,  di grande impatto emotivo, come quella di Pietro (p. 111),  il volume propone  suggerimenti  pedagogici concreti  su come aiutare gli studenti con sindrome Asperger   ad affrontare  in modo positivo gli anni degli studi superiori e dell’Università. L’ intento è quello di permettere  a questi giovani  un’esperienza sociale  positiva, che ne rafforzi  la fiducia in se stessi e le  abilità relazionali,  
Andrea Canevaro ricorda giustamente nel magnifico saggio introduttivo l’ importanza della maturazione critica del contesto sociale per  garantire alle persone con disturbi dello spettro autistico  una effettiva integrazione.  Il volume, curato egregiamente da Enrico Valtellina, rappresenta uno strumento utile non solo per gli insegnanti, che si trovano  quotidianamente a contatto con questi giovani, ma anche per le famiglie, che possono ampliare le proprie conoscenze e uscire  da un isolamento assai doloroso.

Per saperne di più 
http://asperger.it/