" Adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente, come perfettamente sono conosciuto. Ora esistono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità; ma la più grande di esse è la carità" ( S. Paolo, 1° lettera ai Corinzi 13,1 )

domenica 28 febbraio 2010

Donne, amori e i libri: un romanzo tutto da leggere..

Per spiegarne il fascino e il valore, voglio raccontare come mi é arrivato tra le mani il romanzo di Paola Guazzo ( Un mito, a suo modo,Libreria Croce, 2009 ) ed è una storia curiosa.
Per dirla in sintesi, l' ho incontrato su Facebook. Incuriosito dalla popolarità, avevo deciso quattro o cinque mesi fa di cominciare ad usarlo per alcune ragioni precise: diffondere le iniziative nate intorno al libro di Marco e alla disabilità; dare spazio al tema dell' impegno per il lavoro dei disabili raccogliere le recensioni e le note che scrivo per Confronti. Sto andando in pensione e, come accade a molti, cerco di recuperare il troppo tempo impiegato nelle noiose vicende della vita quotidiana...!

Un incontro inaspettato

Ma, quando si prende in mano uno strumento complesso come la comunicazione on line, si finisce per essere presi dentro un ingranaggio autonomo: l' immagine che si pensa di trasmettere si spezza in mille frammenti, spesso ambigui o inaspettati. Le amicizie “ deboli” di Facebook mi sono sono subito sembrate abbastanza poco interessanti, ho sempre creduto che “ la vita - comunque- è l' arte dell' incontro” ( vecchia citazione degli anni sessanta, che denota la mia età ! ).
Tra ciarle casuali, musica e riflessioni politiche, sono entrato in sintonia con un ' amica casuale- Paola -, di cui ho scoperto presto umorismo, indignazioni politiche e stramberie della fantasia, con cui ho istintivamente simpatizzato. Dopo qualche tempo ho avuto tra le mani questo romanzo di un autrice autentica, e che non conoscevo: Paola Guazzo. Per colpa dei mille impegni, l' ho letto in due fasi e- dopo qualche settimane- ho una gran voglia di scriverne.
Superate le prime venti o trenta pagine del libro, ho avuto un attimo di sconcerto. La scrittrice mi conduceva con una fantasmagorica inventiva stilistica in ambienti che conoscevo abbastanza poco.

Uno sconcerto salutare: da Pavese ad Arbasino

La narrazione ( e uso questo termine, con un bel di ironia... dopo capirete il perchè ) si snoda, anzi si frammenta tra Italia, Spagna e altre località cosmpolite dell' Europa: località di villeggiatura, università, locali e paesaggi descritti con un gusto dell' accumulazione stilistica che mi ha incantato sin dall' attacco iniziale: “ 1994, Villa Egra: baluardo di lettere patrie, e di Signorine Felicite, sopra tutte.., eppure lei, Caterina, è la Futurista; il suo corpo posa contro il luogo, ai lati delle due sfingi di ingresso e sotto i cespiti di magnolia, a testa di Medusa (mai potata)...” ( p.7)
Vi dicevo dell'attimo- durato pochissimo- di spaesamento. Confesso senza vergona di essere in letteratura un conservatore anni ' 70 ( Paola direbbe subito non solo in quello !!). Non sono un critico professionale e ho formato i miei interessi letterari ( pochi purtroppo), tra il 1965 e gli anni ottanta, sul quadrilatero Bilenchi- Pavese – Vittorini – Moravia e sugli americani della mitica collezione Oscar Mondadori : quella che avrebbe “ provocato il 68”, come fingiamo di credere con gli amici a cena al terzo bicchiere di vino buono.
E quindi ho vissuto tante brevi vite felici di Francis Macomber” e ho passato serate commosse nella California povera di Furore.
Per fortuna gli anni ( e gli amici intelligenti) permettono di rinsavire. Dopo i 25- 30 anni ho scoperto qualche autore del Novecento italiano che mi ha affinato un po' il gusto: penso a Gadda de La cognizione del dolore o ad Arbasino di Un paese senza e de Le piccole vacanze, o magari Carlo Dossi.
Ma le perversioni di gioventù rimangono, e dentro di me ho forse continuato a pensare che le cose di Joyce da leggere siano sopratutto Dublinesi e Ritratto dell' artista da giovane!!

Dallo sconcerto all' entusiamo più motivato

La lunga premessa serve a spiegare perchè il mio momentaneo sconcerto si è trasformato poco dopo in ragionato entusiamo. Paola Guazzo - con una acutezza esemplare - non rispetta nessune delle regole narrative a cui da conservatore ero affezionato in gioventù.
La scrittrice, da esperta studiosa di letteratura, sconvolge i piani narrativi, li frammenta e decompone in continuazione, entrando ed uscendo dalla propria trama con una sana disinvoltura. Mette in scena una storia tutta al femminile, in cui i gusti, i sogni, gli amori e/o l' erotismo di una comunità lesbica, sono raccontati con una felicità stilistica, che soprende ad ogni pagina.
Paola non nasconde il suo canone letterario e anzi lo esplicita giustamente: nel suo ci sono dentro Gadda, Arbasino, il disinganno di Guido Gozzano, ma anche Virginia Woolf e molti, molti altri. Ma non pensate a ricalchi noiosi e archeologici. Il romanzo – in cui non troverete personaggi maschili se non forse un padre terribile!!! - è il prodotto di una raffinata cultura letteraria, ma anche di una personalità libera che vuole sconvolgere il conformismo dei comportamenti aquisiti e quelli della letteratura ufficiale.
Altro dato che mi ha colpito è stato non solo l' ironia, ma l' umorismo, capace di giocare con i toni più corporei ed umorali, passando poi al riferimento “alto”. In queste pagine, la lezione della linea “ lombarda” della nostra letteratura è assorbita e usata benissimo. Il discorso metaletterario permette alla Guazzo di commentare le situazioni, con riferimenti continui ai semiologhi più amati del secolo passato ( Barthes, tra tutti ).
Se c'è una cosa che Paola non sembra amare, è il progetto ( come dice nelle pagine finali ), inteso come prigione concettuale: lei insegue piuttosto le mille polifonie della realta, alternando un' allegria contagiosa e un sottile umore melanconico. E proprio la malinconia mi pare una delle tonalità più segrete del romanzo.
Due qualità in più di un romanzo che è sorprendente sotto molti aspetti. Che si vuole di più per leggerlo, magari non in due volte come ho dovuto fare io ?
 

Una vita tra le nuvole

Sin dall'avvento del sonoro, nel cinema americano la commedia é stata un genere narrativo capace di interpretare i sogni e gli incubi dell' uomo medio anticipando le tendenze della società. Temi come i cambiamenti della coppia e l' ambiguità sessuale sono stati raccontati da registi come Howard Hawks e George Cukor (Susanna, 1938; La costola d' Adamo, 1949), o quello della povertà da Preston Sturges ( I dimenticati, 1941) .
Negli ultimi decenni, con l' avvento della società urbana e della metropoli, viene a volte affrontato un argomento centrale nella nostra vita concreta: il tempo, il modo come ci opprime nel lavoro o come lo perdiamo inultimente nel consumo. Basti citare, tra i tanti, molti film di Jerry Lewis o quel Ricomincio da capo (1993) di Harold Ramis, divenuto con gli anni un piccolo mito. In quella commedia, un cinico presentatore televisivo, che curava una rubrica di meteorologia, si trovava invischiato in una bolla temporale, costretto a ripetere ogni giorno le stesse situazioni della propria vita. Con una faticosa presa di coscienza imparava - alla fine- a usare le proprie giornate con un altro ritmo, cambiando la propria visione morale.

Ma si può vivere senza pesi?

Anche Ryan Bingham, il protagonista di Tra le nuvole ( 2009) di Jason Reitman, usa il proprio tempo in un modo singolare: il suo tipo di lavoro condiziona interamente il rapporto che stabilisce con gli uomini. E' un “tagliatore di teste”, uno di quei tecnici chiamati dalle aziende in crisi per licenziare i dipendenti giudicati in esubero. Si muove in tutte le aree del paese, trascorrendo la maggior parte del proprio tempo in aereo e sulle poltrone delle sale d'attesa. Orgoglioso della propria abilità, si è costruito una corazza psicologica, che lo rende impermeabile ai rapporti umani.
E' affetto dalla stessa anoressia emotiva del protagonista di Ricomincio da capo: negli esseri umani che gli capitano di fronte, non sa vedere altro che dei numeri. La sua unica preoccupazione è quella di conquistare i premi e i privilegi economici previsti per i successi raggiunti: ovvero quando riesce a cacciare più persone possibili dal proprio posto di lavoro.
Tenta di convincersi che si possano vivere i rapporti umani senza pesi. Vuole muoversi nell' esistenza leggero come viaggia tutto l'anno sugli aerei, con pochissimo bagaglio. Ma muoversi nella vita concreta degli uomini è più complicato: come accade spesso nel cinema americano, saranno due donne a aprire varchi dolorosi nella sua coscienza.
Costruito con rigore – attori efficacissimi, battute taglienti, tra cinismo e melanconia - il film di Reitman ha i modi e la tecnica di un prodotto di genere e cerca apertamente il consenso del grande pubblico.
Ma tra le pieghe di una narrazione elegante emerge un' angoscia autentica per la vita che ogni giorno conduciamo nel mondo del lavoro e nelle strade della città. Osservate la compassione dolorosa con cui il regista lavora sui volti degli impiegati che vengono licenziati: una sfilata di caratteri imperdibile che vi farà amare questo film.

( Pubblicata sul n. di marzo 2010 di Confronti)