
Alla fine di un viaggio, che scandisce alcune tappe di un itinerario obbligato (attese, visite alla grotta, immersioni nelle vasche di acqua benedetta, diagnosi mediche ecc.), la sua fiducia nel miracolo sembra misteriosamente essere ripagata. Diciamo “ sembra ” perche la conclusione del film ci lascia nel dubbio.
La Hausner ha voluto giustamente evitare ogni tentazione apologetica, dando a tutta la narrazione un tono oggettivo, che sottrae effetti eccessivi e adopera invece l' arma dell' ironia o magari del sarcasmo. Gli accompagnatori, i medici e gli stessi sacerdoti sono individui abbastanza mediocri. Hanno tra loro dialoghi grotteschi - su cui il film gioca senza mai calcare troppo la mano.
Perchè toccato proprio a me?
Esemplari sono le discussioni teologiche che occupano vari momenti del racconto. “ Perchè è toccato a lei e non è a me?”: così ripetono più volte alcuni malati rivelando egoismi inconsueti in un luogo che dovrebbe esaltare la spiritualità
C' è da dire che questo tono sospeso tra ironia e distacco assicura al film un fascino inconsueto, aperto a due possibili esiti. Chi è disponibile al mistero e alla religiosità, rimane colpito dalle lunghe file di corpi e di volti in attesa, animati da una fede intensa e misteriosa. Chi non può accettare l' idea del miracolo, esce riconfermato dalle notazioni ironiche dellla regista sugli aspetti commerciali e pagani del viaggio a Lourdes.
Nell' insieme, il film si segnala per la severità ascetica della narrazione e la sensibilita dello sguardo: i protagonisti di questo viaggio non sono icone retoriche, ma tipi umani, vittime di patetiche mediocrità. Malgrado la bravura della regista (e degli attori), si rimane con un rimpianto. Il film ci dice molto sui vari modi con consumiamo il miracolo, sulle ipocrisie dei medici e dei malati, sulle diverse facce della speranza.
Ma ancora una volta il corpo ferito, la disabilità umana non viene descritta nella naturalità della sua esistenza, come condizione quotidiana di tutti. Di questi malati sappiamo alla fine abbastanza poco e li ricordiamo piuttosto come modelli di comportamenti egoistici.
Del resto al cinema la disabilità del corpo è sempre stata difficile da raccontare con vera sincerità umana; si cade facilmente nel sentimentalismo e nella metafora scontata. Se ci rivolgiamo ai classici, pochi registi ci sono riusciti. Due esempi, tra i pochi: Freaks di Tod Browing agli albori del sonoro, nel 1932, e The elephant man (1979) di David Lynch. In entrambi la disabilità non è ridotta a immagine doloristica, ma diventa un punto di vista altro che aiuta a capire la crudeltà degli uomini normali.
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