" Adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente, come perfettamente sono conosciuto. Ora esistono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità; ma la più grande di esse è la carità" ( S. Paolo, 1° lettera ai Corinzi 13,1 )

domenica 26 settembre 2010

Ma che amicizia pratichiamo in rete?

Termini come socialità, solidarietà, scambio sono di uso comune non solo sui media, ma nell' immaginario di milioni di utenti della rete che ormai hanno modificato nel profondo i loro comportamenti quotidiani. Ma un interrogativo continua a circolare in forme spesso moralistiche, che hanno però un fondo di acida verità: che tipi di socialità, di amicizia è quella della rete? Che cosa ci si scambia realmente? I flussi di comunicazione on line hanno funzioni e significati diversi.
Il primo è ovviamente quello commerciale: in rete si compra e si vende di tutto ( dai prodotti culturali agli oggetti per la casa, ai medicinali e al porno).
Ma vi sono altre importanti modalità di comunicazione: sentimentali ed erotiche, editoriali, politiche, ma anche scambi deciati alle decisive questioni della solidarietà ( richieste di aiuto su temi etici, proteste in difesa di alcuni diritti non rispettati, testimonianze biografiche, che non circolano su altri media).
Questi nuovi spazi hanno creato comunità virtuali, che si autodefiniscono usando termini densi di echi significativi come " amicizia ". Queste relazioni inedite, basate sulla virtualità, possono cambiare - e in quale misura- i modelli più tradizionali di costruzione dei rapporti tra le persone? Che destino hanno le emozioni, fondate sullo scambio diretto di sensazioni corporee e visive, in un universo di relazioni fondati invece sulla lontananza e l' assenza? Che tipo di modelli antropologici e di socialità stanno nascendo, insomma, nell' epoca di Internet?
Memori della lunga tradizione di studi sul dono da Marcel Mauss in poi, gli autori del libro indagano nei nuovi comportamenti on line con esempi che invitano ad una analisi ragionata piuttosto che ad un entusiasmo aprioristico. I modelli " liquidi" di rapporti tra gli individui suscitano per ora legittimi dubbi sul rischio di un'isolamento autistico, sollecitando approfondimenti sulla qualità di questa condivisione globale di emozioni e vissuti.
Scrivono, tra l' altro, Aime e Cossetta: “..Alcune esperienze vissute nel web, come blog, forum, social network, sembrano la metafora .. di una societò paradossale, che pare aver riscoperto la forza e la necessità del dono, ma che non riesce a diventare un fatto sociale totale” ( p.115).
Non ci aiutano gli entusiasmi apologetici di chi considera la rete la frontiera di un nuovo Eden, denso solo di promesse. Il rischio dell' amicizia virtuale è quello solito, antico come il mondo: la superficialità episodica. Guardarsi negli occhi resta un' operazione indispensabile e di elevata forza critica


Marco Aime Marco, Anna Cossetta

Il dono al tempo di Internet
Einaudi , 2010,p. 121, € 10,00

venerdì 24 settembre 2010

Paura e desiderio a Garbatella combat zone

Sul nodo del rapporto tra letteratura e analisi sociale, vi sono state negli ultimi tre-quattro anni molte polemiche ( spesso velenose) e anche tante opere (per fortuna). Basti ricordare alla rinfusa romanzi e racconti di Aldo Nove, Michela Murgia, Giorgio Vasta, il collettivo Wu Ming e molti altri.
Libri di diverso valore, ma tutti segnati dall'urgenza di capire un presente insopportabile: la crisi morde anche l' immaginario degli intellettuali e non tutti si arrendono soddisfatti alle lusinghe della letteratura televisiva.
Tra i romanzi da ricordare, c'è sicuramente Il contagio di Walter Siti: un ritratto disperato e lucido delle nuove periferie romane, segnate da droga, criminalità e corpi dilaniati. Con impeto sociologico e furore etico pasoliniano Siti vi sosteneva una tesi radicale: a Roma, e forse nel mondo, i nuovi borghesi assumono i comportamenti - sessuali e criminali - delle borgate e il mondo popolare incorpora i peggiori stili di vita dei ceti arricchiti ( lusso volgare, cultura televisiva, droga, ecc.)
La lettura del primo romanzo di Massimiliano Smeriglio, dirigente politico e saggista interessato al destino delle metropoli, m' ha riportato alla mente la tesi del libro di Siti a cui Garbatella combat zone rende omaggio con una citazione indiretta, ma assai precisa.
Se l' ispirazione sociologica e l'ambientazione romana è la stessa, diversi sono i personaggi e i toni di questo libro. Diverso è innanzi tutto l' intreccio, meno corale e centrato sul protagonista.


Tra illegalità e destino precario


Valerio, trentenne precario, vive nel quartiere della Garbatela un 'esistenza inquieta e rischiosa. Nel suo mondo emotivo si intrecciano le memorie della resistenza, gli echi del movimento del 1977 e un presente chiuso a qualsiasi prospettiva. Diviso tra fantasmi del passato e una quotidianità, fatta di violenza e piccole illegalità, Valerio si troverà ben presto a intraprendere un percorso distruttivo che sembra predestinato. La malavita romana non è più quella folkloristica degli anni cinquanta o degli odierni sceneggiati televisivi. Nei meandri del narcotraffico, la sua vita si perderà sulle strade del Messico, alla ricerca di una redenzione impossibile.
Il libro ha molti elementi, che ne compongono la struttura. Il primo, il più semplice se si vuole, è quello di un thriller veloce, appassionante, immerso nella cronaca: è la parabola di un giovane ingenuo, precipitato in un giro criminale più grande di lui tra Italia, Stati Uniti e Messico.
Ma nel destino melanconico di Valerio c' è un secondo livello, più intenso e doloroso. Le vicende di un giovane popolano alla ricerca di un riscatto individuale si allargano al rapporto con la storia: l' impegno politico della sua famiglia nella Resistenza e poi nella sinistra del dopoguerra.
Qui emerge il tema della frattura generazionale: le speranze di cambiamento sociale sono cadute e non sembrano esserci altre vie per i giovani del quartiere, perduti tra la mancanza di lavoro e le violenze tribali di una città ormai nemica,


Le ombre dei morti


Unifica questi due livelli quella che chiamerei un' asprezza esistenziale, con forti risonanze politiche e morali. Provo a dirlo così. Lo scrittore si pone interrogativi antichi, ben noti ai teologi prima e ai filosofi dopo: il destino degli uomini, specie dei più poveri, è determinato per sempre dalle gerarchie sociali? Al sangue e alla violenza non c' è scampo? La costrizione sociale rende impossibile alle scelte di Valerio la " coerenza di una retta" ( p. 32) e lo imprigiona dentro un cerchio soffocante che ha come ultima tappa la morte. Lui sembra saperlo sin dall'inizio della storia, quando si addormenta mentre gli tengono compagnia" le ombre dei morti "( p.93).
Il romanzo non dà ovviamente risposte, inseguendo con apparente levità il proprio protagonista tra osterie, aeroporti e alberghi internazionali ( è la globalizzazione, quella del crimine). Ma è appunto una levità apparente: il filo profondo che lega le varie tappe della vicenda è un grumo struggente di dolore rabbioso. Il romanzo si chiude non a caso su un orizzonte di morte.
Gli incipit dei diversi capitoli scandiscono questi interrogativi con una serie di citazioni dei testi sacri, di inesorabile bellezza.Sono i nostri interrogativi, per chi non vuole rimuoverli. Al romanzo e al suo autore va dato il merito di avercelo ricordato, con bella tensione emotiva.


Massimiliano Smeriglio
Garbatella combat zone
Voland, 2010, p.189, £ 13,00

Per saperne di più

http://www.garbatellacombatzone.it/home

martedì 21 settembre 2010

Loop: guardare l' apocalisse negli occhi

I giovani e impetuosi redattori di Loop hanno alcuni idee ricorrenti che circolano in molti articoli della rivista e che possono spiegare bene le loro intenzioni. Nomade, caos e apocalisse sono vocaboli ad alta valenza metaforica e denotano un' intenzione decisamente apprezzabile: cercare di capire le dinamiche della società globale e gli spazi possibili del conflitto sociale dopo il crollo delle ideologie novecentesche.
Un termine come nomade serve ad evocare a volte una precisa categoria etnica, sottoposta a violenze che arrivano in questi giorni sulle prime pagine dei media internazionali, ma anche un'altra realtà che ci riguarda tutti.
Sono nomadi i giovani lavoratori precari che percorrono le metropoli alla ricerca di spezzoni di lavoro servile, sono nomadi gli stessi operai della grande fabbrica costretti a salire sui cornicioni per avere una qualche visibilità mediatica. Tutti siamo divenuti in qualche modo nomadi rispetto a noi stessi, alle identità perdute.
Questa condizione, che le categorie del marxismo cattedratico non riescono a capire e interpretare, contagia e corrode l' immaginario: è appunto una situazione caotica, tipica di questa fase della globalizzazione. Secondo l' accezione teologica, e' una condizione di distruzione continua che svela nuove contraddizioni e - forse - lontane, possibili redenzioni.
In questo universo – orrendo e inevitabile- una mobilità frenetica dei soggetti sociali si intreccia a una guerra civile permanente, in cui è la categoria amico-nemico sembra prevalere su quelle di pubblico o di collettivo. I contributi della rivista descrivono la condizione del nuovo secolo secondo questa modalità apocalittica ( e a questo tema è dedicato appunto uno dei numeri più belli).
Con questo sguardo, vengono letti nodi della politica contemporanea come il collasso ambientale, l'America di Obama (e i suoi conflitti urbani), i movimenti contadini e urbani in America Latina o il nodo decisivo della pace e della guerra globale. Proprio a questo tema è dedicato l' ultimo numero ancora in edicola e in libreria, con interventi – tra gli altri- di Gino Strada, Martino Mazzonis, Emanuela Giordana e Don Andrea Gallo.
Un numero tutto da leggere e da discutere. Le riviste continuano testardamente a volere leggere dentro il caos contemporaneo.
Per saperne di più, vale la pena di visitare il sito della rivista: è ricco di tanti contributi originali
http://www.looponline.info/index.php/home

" Ma quanti sono i ritardati in giro ! "

Scena: una fila alle casse di un supermercato della prima periferia romana. Persone impazienti in mezzo ai carrelli, vecchie signore che faticano a contare il resto, voci e rumori di un giornata qualsiasi. Davanti a me, tre persone: un padre, ben vestito e con i capelli un po' ingrigiti, passa gli oggetti comprati verso la cassiera; dietro a lui, una donna di mezz' età dallo sguardo triste e una giovane ventenne, vestita in modo sportivo, che scalpita e sbuffa.
Ad un certo punto, la ragazza sbotta:“.. Pà, e sbrigati, ma sei proprio ritardato, guarda che in giro ce ne sono già troppi di ritardati”. Incuriosito prima che indignato, mi guardo intorno cercando di capire il senso di un aggettivo che trovo stupido, prima ancora che indegno. Aggiustando lo sguardo intorno, intuisco forse qualcosa. Due file più giù, ad una cassa, vedo una giovane disabile che batte numeri con calma e determinazione. Lungo i banchi, un' altra giovane, forse con la sindrome di Down, sposta oggetti da un carrello ad un bancone.
Evidentemente la direzione del supermercato ha voluto rispettare le leggi dello stato, dando occasioni di integrazione e di lavoro ad alcuni disabili adulti.
Mi chiedo: che cosa ne sa quella giovane scapestrata ed ignorante della fatica di decenni per ottenere queste leggi e dell' impegno speso per farle applicare? Probabilmente nulla, malgrado usi un italiano pulito, frutto almeno di studi oltre la terza media.
Perche allora l' uso di quel termine spocchioso che denota una idea autoritaria della gerarchia sociale? Per due ragioni, credo. La prima è che nelle giovani generazioni, figlie dell' individualismo competitivo dell' ultimo venetennio, domina un deserto culturale piuttosto spaventoso. L' altro dato che colpiva era l' atteggiamento rassegnato degli adulti: genitori di mezz' età, che hanno conosciuto certo un' eco degli umori democratici degli anni settanta, e che contemplano un mondo in trasformazione, sconsolati e senza idee.
Chi si occupa di sociale e dell' integrazione degli ultimi, deve combattere non solo con la crisi del welfare state e il crollo delle risorse pubbliche, ma con un nemico ancora peggiore: l' anoressia morale di una fetta crescente della nostra società.

mercoledì 1 settembre 2010

Roma e le nuove fragilità sociali: un documento

Questa nota è stata elaborata da Antonio Vannisanti e sta circolando in rete e su Facebook con il titolo Tessere la rete che accoglie le fragilità. E' il frutto di riflessioni e rielaborazione di scritti, articoli, interventi, note e/o comunicazioni di Rapporto Caritas, CGIL Welfare, Roma Social Club, Rete Sociale del Municipio6, Coordinamento 285, Forum immigrazione PD, Maurizio Bartolucci, Augusto Battaglia, Claudio Cecchini, Enrico Serpieri, di tanti operatori della cooperazione sociale e del volontariato a Roma. Con l'autorizzazione dell' autore. Ne pubblico alcuni estratti, che contengono dati di estremo interesse, anche per i dati di cronaca di questi giorni.


Gli stranieri regolarmente presenti a Roma sono circa 300.000 con un’incidenza del 10,3% sul totale dei residenti. Comunità più giovani e dinamiche, e prolifiche soprattutto, con quasi quattromila nuovi nati l’anno. I minori stranieri sono più di 44.000, di cui oltre i ¾ nati in Italia. La Caritas ipotizza che le presenze dei stranieri aumenteranno al ritmo 25/30.000 unità l’anno e le previsioni Istat prevedono nel 2020 una popolazioni di ca. 730.000 cittadini stranieri.
Si tratta di fenomeni che richiederebbero una riflessione di respiro strategico, su nuovi e più avanzati fondamenti di civiltà basati sull’accoglienza e sull’integrazione della presenza straniera, sull’individuazione di strumenti adeguati al suo inserimento, sulla lotta allo sfruttamento e sul rispetto di un quadro complessivo di legalità. Una riflessione, insomma, che superi quella tutta strumentale (e volta a manipolare il sentimento d’incertezza e di paura che, soprattutto per cause economico-sociali, percorre la popolazione) e da ordine pubblico che ormai prevale quando si parla di stranieri.
Inoltre quando si parla di sicurezza e stranieri, oltre il dato percettivo, bisognerebbe guardare ai numeri. Nel 2008 la criminalità degli stranieri è diminuita del 7,6 nel Lazio e del 15,3 in provincia di Roma. Nel periodo 2005-2008, sempre nella provincia di Roma, l’aumento delle denunce penali è stato del 5,2% e quello della popolazione straniera del 60,5%.
A fronte di questo dinamismo positivo, vanno registrati aspetti degenerativi in particolare nello sfruttamento nel mercato degli affitti, in conseguenza del quale gli immigrati, anziché vittime, sono considerati responsabili del degrado e delle carenti condizioni di vita con un impatto sociale nei quartieri a più alta densità di presenze immigrate.
Nel periodo 2001-2008 il Centro per gli immigrati di via Assisi promuoveva iniziative d’inserimento sociale e lavorativo, di formazione, d’insegnamento della lingua italiana. Così come la “Casa dei rifugiati” dava accoglienza a chi aveva lasciato il proprio paese perché oggetto di persecuzioni politiche o religiose.
Furono aperti 16 centri di accoglienza per stranieri, richiedenti asilo e rifugiati, per un totale di 900 posti e 1.301 utenti accolti nel corso dell’ultimo anno. Il centrodestra la prima cosa che ha fatto è stato porre fine ai progetti ‘Polo Intermundia’ e Roxanne destinato a sostenere le donne vittime della tratta non si ha più traccia....


Vecchie e nuove povertà, fragilità sociali: c'è bisogno di risposte nuove


In particolare per le persone disabili sempre più in difficoltà per i tagli agli interventi di riabilitazione Nel periodo 2001-2008 si sviluppò un grande impegno per le circa 60 mila persone disabili che vivono a Roma.Gli investimenti del Comune per i disabili sono passati complessivamente da 50 a 65 milioni di euro, impiegati per migliorare e aumentare l’assistenza, per abbattere le barriere architettoniche, per creare nuove opportunità.
Dal punto di vista delle residenze: si passo dalle 30 strutture per 180 utenti del 2001 alle 50 strutture per 362 utenti del 2007. Dal 2001 al 2007 sono state raddoppiate le persone assistite arrivando a oltre 6.000.Anche se grandi passi sono stati fatti nel campo dei servizi di riabilitazione, per ciò che attiene al diritto allo studio, così come ai servizi di socializzazione debole rimane la risposta negli inserimenti lavorativi e sui servizi o spazi per l’autonomia e la vita indipendente.
C’è poi un coacervo di malessere diffuso, con sintomatologie celate o espresse attraverso patologie sociali. Dove la povertà economica s’intreccia con quella sociale e culturale. Un disagio che richiederebbe servizi innovativi, approfondimento scientifico, ricerca sulle buone prassi. Integrazione tra interventi sanitari e quelli sociali come nel caso delle dipendenze e del disagio psichiatrico.
Negli anni si era costruita una rete importante per l’intervento sulle dipendenze due comunità di pronta accoglienza residenziale; sei centri diurni di pronta accoglienza; tre centri notturni; un servizio di pronto intervento; un Centro residenziale di reinserimento. 10 pulmini per le attività dell’unità di strada
Nel 2002 fu avviato un progetto per il recupero, l’accrescimento e il rafforzamento delle competenze genitoriali di persone tossicodipendenti con figli minori.
Gli interventi in campo psichiatrico portarono all’apertura di 46 nuove residenze per 125 cittadini con disagio mentale e l’assegnazione di diversi alloggi Edilizia residenziale pubblica per 22 cittadini, così come molte sono state le persone avviate al lavoro. Oggi c’è un vuoto assoluto né crescita né innovazione nel campo dei servizi, una grande precarizzazione della condizione del lavoratore, una contrazione progressiva della spesa sociale.


Roma: è necessario un progetto più forte e più incisivo


Roma deve investire sulle politiche sociali per investire su se stessa. Non deve dare facili risposte di un assistenzialismo fine a se stesso ma deve promuovere un welfare di comunità che sostenga la famiglia nelle proprie responsabilità educative e di cura e che alimenti reti di solidarietà territoriali. Promuovere un sistema sociale comunitario, fondato sulla governance locale, la costruzione di diritti di cittadinanza come elemento primario di promozione e sostegno sociale, la qualità dell’intervento e il diritto di scelta del cittadino. Ristabilire un’ecologia sociale dell’intervento affinché risponda al bisogno sociale, rispettando i diritti del cittadino, del lavoratore, dell’impresa.
Dobbiamo impedire lo smantellamento del processo d’inclusione, di tutela sociale e arginare il tentativo di ritorno a un sistema di monetizzazione della risposta sociale fuori da un progetto di sviluppo e crescita della persona.
Così come dobbiamo rinnovare una cultura solidaristica che impedisca che le questioni sociali sembrano diventino questioni di ordine pubblico, dimenticando che la sicurezza di una città è fondata anche sulla capacità di risposte sociali (...).