" Adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente, come perfettamente sono conosciuto. Ora esistono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità; ma la più grande di esse è la carità" ( S. Paolo, 1° lettera ai Corinzi 13,1 )

domenica 27 settembre 2009

Ritorno all' Università: trent'anni dopo...

Avevo promesso di raccontare il pomeriggio di Marco all' Univesità ed ecco qui il racconto di una giornata tra le più paradossali ed emozionanti che mi siano capitate negli ultimi anni.Circa un anno fa Marco, ad un convegno organizzato dal gruppo Asperger aveva conosciuto un docente universitario, Matteo Villanova, che insegna a Roma alla Facoltà di Scienza della Formazione.Una sera a cena aveva annunciato trionfalmente che questo professore lo invitava a parlare ai suoi studenti!! Devo confessare che non l' abbiamo preso troppo sul serio. Certo, ormai lo sappiamo bene, un giovane con la Sindrome di Asperger, che ha scritto due libri e ama comporre poesie, incuriosisce, ma ho imparato a odiare le mitologie buoniste, il bell' esempio esibito in pubblico per consolare la società di quello che non riesce a fare per le persone in difficoltà.

Un grido all' ora di cena

Da tempo poi il problema del lavoro assorbe le energie di tutta la famiglia: la riflessione culturale mi appare laterale rispetto alle urgenze della vita. E' passato quasi un anno. Marco ci raccontava ogni tanto il suo dialogo in rete con il professore: qualche mail scambiate di tanto in tanto, con notizie rapide e formali. Mi colpiva più che altro l' umanità di uno studioso intelligente che si occupa di psicologia del mondo giovanile.
Invece tre giorni fa, la voce squillante di Marco ci ha scosso, come sempre all' ora di cena, l' unico momento in cui ci si ritrova per chiaccherare un po'. " Vado all' università". Sgomento serale di tutti, ansia da preparativi, con lunga e prevedibile rievocazione della sua storia: i primi anni delle malattie fisiche, la nostra terapia, le sue prime uscite da solo per il quartiere. Giorgio - il fratello- ha fornito con distacco la consulenza del montatore esperto: una cinepresa portatile, compatta e manegevole.
Ovviamente nulla è andata come prevedevamo. La Facoltà di Scienza della Formazione si trova a Roma, in Piazza Esedra, in un vecchio edificio che io e Lorenza abbiamo conosciuto bene, trent'anni fa. Lei si è laureata in Sociologia proprio lì, in quella che allora era la sede della Facoltà di Magistero ( nome che ci appare oggi abbastanza ridicolo!. E infatti siamo saliti al terzo piano tra pareti imbiancate, stanze ricavate da tramezzi e soppalchi, e muri a noi ignoti. Cercavamo in modo folle di ricordare un passato che non c' era più.Marco si aggirava sereno tra annunci di esami e proposte colorate di viaggio all' estero. Vedere tranquillo lui ha tranquilizzato anche noi.


Una famiglia torna in aula


Siamo entrati in un aula luminosa, con venticinque giovani donne, e un docente, in maniche di camicia, con i capelli ricci e l' aria distratta dell' intellettuale. Marco si è seduto al tavolo e ha cominciato a rispondere alle domande con una voce bassa e un po ' emozionata. Da quando- tre anni fa- è uscito Non avevo le parole il suo modo di presentarsi in pubblico si è fatto meno impacciato: da silenzioso, con risposte monosillabiche, è diventato quasi verboso. Racconta la sua vicenda con un linguaggio che è spesso comico per la ricerca di vocaboli ricercati.
Per i primi dieci minuti ho usato la cinepresa per avere almeno un ricordo di quella giornata, poi ero troppo curioso di capire quello che succedeva: il gusto della realtà ha preso il sopravvento sulla rappresentazione. Marco mi ha stupito per molti motivi. Ha raccontato bene i suoi primi anni, così come li ha rielaborati nel corso di quest' ultimi quattro, cinque anni. Mi ha colpito un dato che non aveva colto. Marco riesce a suo modo a oggettivarsi, a esprimere un racconto di sé: i quattro anni di reclusione da malato in casa, le febbri, le due operazioni, la diagnosi di aiutismo grave a sette anni. Ha risposto anche alle domande pericolose, quelle più intime, motivando perchè non voleva rispondere, con una precisione e una tranquillità apparente che mi ha sorpreso.
La platea era composta di donne tra i venticinque e i trenta: laureande, assistenti, palesemente incuriosite non solo per motivi professionali, ma con qualche evidente civetteria. Lui ha saputo evitare le risposte che andavano troppo dirette su argomento " pericolosi" , usando addirittura l' auto-ironia: si è preso in giro per le sue difficoltà.


Una sorpresa ancora più inaspettata


Ero già felice per come stavano andando le cose, ma le soprese non erano finite. Dopo quasi un' ora, sono entrati altri due giovani, tra i venticiqnue e i trentaciqnue anche loro membri del gruppo Asperger. Uno frequenta l' Università e l' altro lavora in proprio: timidi, con lo sguardo intelligente e preoccupato, si sono seduti all' ultima fila. Io e Lorenza non abbiamo resistito: quasi all' unisono li abbiamo invitati a mettersi dietro il tavolo, accanto a Marco, per raccontare e discutere tutti insieme. Ed è successo, è successo sul serio!! Hanno risposto a domande impegnative sugli amici, sui loro gusti, sul futuro. Per una buona mezzora hanno raccontato come i compagni di scuola aggressivi li spaventavano, spiegando come nelle relazioni sociali vorrebbero più dolcezza e cortesia. Ho guardato le donne e tutte sorridevano intenerite da quei giovani inquieti e fragili, che chiedevano al mondo umanità e affetto.
Alla fine, Marco ha regalto a tutti una copia di Per parlare con le parole e se ne è andato in pizzeria con gli altri ragazzi del gruppo Asperger. Io e Lorenza siamo usciti cone le ali ai piedi: le luci della sera che scendevano sulla città ci sono sembrate all' imporvviso più dolci. Per un attimo ho pensato che un'Italia civile può esistere, almeno per due ore, in un aula del nostro vecchio Magistero, che ci era sembrato quasi senza memoria.

lunedì 21 settembre 2009

Si può fare! Rosanna e i libri

A chi guarda con scetticismo o indifferenza al problema del lavoro ai disabili voglio suggerire questo servizio tv di Rai News 24. Una ragazza speciale come Rosanna racconta con semplicità e calore straordinario la sua vita tra i libri di una biblioteca di Roma. Le famiglie, tante operatori, gli scrittori con i loro libri lottano con fatica per un obiettivo che ci aiuta a recuperare la nostra umanità perduta.
Osservate in questo servizio la civiltà dei bibliotecari che parlano con Rosanna: le biblioteche di Roma sono state una conquista importante della parte più civile del paese, uno strumento contro il deserto della mente. Usate questo documentario dovunque sarà possibile. Anche io farò lo stesso ovunque potrò. La mia commozione è anche personale: conosco bene l' amore di Marco per i libri.

Clicca qui
http://www.rainews24.rai.it/it/canale-tv.php?id=16634

lunedì 14 settembre 2009

Una lieta sopresa per " Non avevo le parole"

Il fenomeno delle riviste culturali online è una degli aspetti più interessanti delle attuali trasformazioni del mondo editoriale e della comunicazione, più in generale. Mentre le grandi concentrazioni editoriali lavorano su modelli di largo consumo, con tirature altissime, la sperimentazione artistica trova in rete le forme di una nuova presenza: tra i tanti esempi di riviste letterarie in rete, una delle più significative e interessanti è Bollettario.it.
La trovate a questo indirizzo; http://bollettario.blogspot.com. Ricca di saggi, recensioni e testi poetici, è la versione telematica della rivista cartacea Bollettario, quadrimestrale di scrittura e critica, fondata e diretta da Edoardo Sanguineti e Nadia Cavalera. Articolata in sezioni tematiche, è un vero laboratorio critico sul dibattito letterario, filosofico e politico. Il sito è di grande interesse anche a coloro che si occupano di riviste letterarie, di cui il sito offre una preziosa documentazione.


Dalla rubrica Libri di Bollettario.it traggo e rilancio questa recensione, curata da Nadia Cavalera. di “ Non avevo le parole” ( Città Aperta, 2006), il libro da cui è nato tutto il cammino di Marco e il lavoro di questo sito per i disabili


L’autismo «classico» è una malattia grave, difficilissima da gestire e a tutt’oggi molto invalidante.Ma una sua variante, la cosiddetta Sindrome di Asperger, presenta possibilità di successo nella cura, nel senso che possono i soggetti interessati garantirsi una vita possibile, se solo si interviene prontamente, con sensibile intelligenza, pazienza, tenacia, e tanto amore.
Doti che hanno ampiamente dimostrato Umberto e Lorenza, genitori di Marco Brancia, un giovane uomo di trent’anni, che dopo svariate traversie terapeutiche (diagnosi errate con “tre sentenze di morte”, cure inappropriate), ma anche d’impatto sociale (meschine incomprensioni, chiusure razzistiche), oggi può guardare al suo futuro con prospettive più rassicuranti.
Certo per i genitori rimane sempre l’ansia del «dopo di noi». Ma intanto il peggio è passato, e ripercorrerlo non può che giovare a rafforzare i successi ottenuti e creare una solida base per proseguire avanti, e alla quale far riferimento in futuro per qualsiasi emergenza.
E’ questo lo spirito che probabilmente avrà mosso Umberto Brancia a scrivere col figlio Marco, in un pendant molto coinvolgente, “Non avevo le parole”. Titolo che è poi la spiegazione semplice data «a voce bassa», dal figlio, a percorso riabilitativo inoltrato, ad una domanda impellente e fino ad allora taciuta del padre: «perché parlavi così poco? ». Marco non parlava perché non aveva le parole.
Viveva nel silenzio di un mondo tutto suo, parallelo a quello che gli passava davanti, senza riuscire ad agganciarlo in maniera stabile e proficua per costruire il ponte che gli permettesse di esprimere la sua identità, definendola. E solo nella prima adolescenza ha scoperto finalmente il mezzo di fuga dallo stato di isolamento: le parole. E se ne è innamorato.
Il libro, che, come recita il sottotitolo, è un «dialogo sulla malattia tra un padre e un figlio», è diviso in due parti.Nella prima, Umberto, in forma epistolare, racconta al figlio la sua vicenda sin dalla nascita corredandola di tutte le possibili notizie utili a fissare l’immagine e il ruolo della famiglia e dei parenti più prossimi, tra i quali s’impone la figura del nonno paterno, con la sua giovialità, l’amore della conoscenza, la generosità, i racconti di guerra o sulle origini siculo-campane.
Nella seconda parte, è Marco stesso a scrivere i suoi ricordi relativi al periodo trascorso, arricchendoli in conclusione con suoi “Pensieri personali”. I primi scaturiti, con gioioso entusiasmo, dalla padronanza delle parole, dopo tante sofferenze per la loro mancanza e per l’incapacità di articolarle in suoni. Ora, finalmente possedute, tradotte in segni grafici, in un mix di impressioni ed espressioni, e flash atemporali, le utilizza per scolpire il suo paesaggio interiore, fatto di solitudine, (“sono sordo e chiuso dentro di me”), dominato costantemente da un muro che lo isola e protegge nel contempo. Di qui lo smarrimento (“cercavo sempre qualcosa che non sapevo”), e il naturale bisogno d’amore. Affidato al suono del vento, al volto di una bellezza mediterranea (“donna significa speranza, donna significa vita, /amore da assaporare tutti i giorni”); cercato nella dolcezza di un prato, nella caduta lieve delle foglie, nel silenzio, prigione e culla della voce che dentro lo guida “come una danza” . E’ sempre l’amore responsabile dell’immedesimazione con la natura, albero o lago o mare che sia.
Ma resta la madre la fonte primaria dei sentimenti. E quando dinanzi alle descrizioni/evocazioni, l’emozione lo coglie più forte, la prima similitudine o metafora che gli viene spontanea è quella che la vede protagonista. E la madre, più spesso nella variante lessicale di mamma, ricorre più volte in questi versi. Associata al vento “da saper toccare con le mani quando arriva” e che per lui è prima “come una mamma, come qualcosa di piacevole” per poi diventare, insieme al “profumo d’erba” e le carezze, proprio “una seconda madre”. Anche il silenzio, “la dolcezza, la tranquillità interiore”, è ascoltato da lui “tutti giorni come una seconda mamma”. La stessa poesia (“io la sento dentro come una seconda madre”), che lui vive anche “come una farfalla” e che, altrove, in una felicissima associazione di idee, gli fa assaporare il tempo che passa “come una volpe la mattina”. Alla ricerca di comprensione e sostegno (“ho bisogno dell’aiuto che mi porta fino te”), mentre attende il treno da non perdere (“il treno dev’essere un’occasione che devo prendere”), forte però della scoperta ed appropriazione infine della sua corporalità, decretata dalla poesia “Mio”: Mio è il corpo/ Mia la voce che ho quando parlo./Mio è tutto quello che ho. Miei sono gli occhi che guardano tutto.”.
Un testo importante questo (l’ho riportato integralmente) che prova indiscutibilmente l’avvenuto contatto tra i due mondi. Marco non si limita solo a registrare ciò che vede, ma sa di essere lui a farlo. Elabora consapevolmente i dati. Interagisce finalmente.
Ne è piena conferma la successiva silloge di pensieri e poesie, Per parlare con la gente (Tipoedizioni, 2008). Dove, in 55 brevi testi continua a raccontarsi. Per riconoscersi meglio nella sua individualità (“mi guardo per parlarmi dentro”) e per mantenere il contatto comunicativo con gli altri, indispensabile alla sua crescita psicologica e comportamentale. Per consolidarlo e liberarlo da qualsiasi possibile difficoltà che potrebbe ancora provocargli (“se uno comunica,/spesso si sente in imbarazzo), per superare infine del tutto la fragilità sempre incombente e di cui si direbbe spia la stessa poesia proposta con titoli diversi (“Il Passaggio”, “Il passare degli anni”), quasi un retaggio della vecchia coazione a ripetere. E resta sempre affascinato dal silenzio in cui meglio si riconosce (“il silenzio mi fa essere me stesso”), e che lo fa entrare in sintonia con la natura, sciogliendolo in un sorriso spontaneo (“quando sorrido penso alla natura /che è viva dentro di me”).
Ed ecco l’attenzione per gli alberi, per la pioggia che s’insinua la sera sui suoi “pensieri personali”, ma anche per le rose, per le stelle, incarnate nella metafora ancora una volta della madre. E soprattutto per il mare, elemento primitivo, forse equivalente emotivamente al silenzio, e che lui riconosce come sua componente essenziale che lo tenta ad intermittenze (“il mare è una parte che torna sempre in me”). Il mare è azzurro, “il colore della bellezza femminile”, è ammaliante. Ma lui si impone di resistergli in una affermazione che sembra piuttosto un autoconvincimento (“il mare è una parte di me che se ne sta andando”).
Ora Marco è proiettato verso una realtà più piena e soddisfacente (“ho voglia di sognare, di trovare un mondo diverso dal mio”). La indaga attentamente (“osservo tutto quello che mi sa accanto”), con grande interesse (“tutto mi attrae perché ho curiosità”), la rielabora sistematicamente (“i miei occhi sono il mio pensiero”), nutrendosi di musica e letture, anche ardite (“leggo quando parli”) e interrogandosi sul dolore, la perfezione, la pazzia, sull’insensibilità e stupidità degli uomini
In un percorso poetico autentico che, ne sono sicura, avrà in futuro, molte altre tappe. (Nadia Cavalera)
http://bollettario.blogspot.com/2009/06/blog-post_5499.html

http://nadiacavalera.blogspot.com/

Una poesia di Marco

Questa è l' ultima poesia di Marco, pubblicata sul suo blog:
http://nonavevoleparole.blogspot.com/
Mi ha permesso di pubblicarla ed eccola qui.


MI SUONA

Mi suona tutto,
mi suona tutto dentro di me.
Mi suona di novità,
la novità può essere bella o brutta.
Quando mi alzo, metto la sveglia
e tutto suona.
Ah come sarebbe bello un mondo di musica.

Marco Brancia

domenica 13 settembre 2009

Qualcosa si può fare.. ( continua)

Tento un bilancio di questa settimana, assai difficile,iniziata con la decisione di aprire uno spazio dedicato alla ricerca del lavoro da parte dei giovani disabili medio-lievi: come era ovvio, sono partito dall' esperienza di mio figlio Marco a Roma e di altri giovani oggi in attesa precaria e angosciosa.
Più di quaranta amici hanno ricevuto questo blog: intellettuali, operatori impegnati nel sociale, famiglie. Quattro persone, a cui esprimo la mia gratitudine più sincera, hanno mandato dei commenti che trovate nella rubrica in fondo ad uno dei post. Alcuni siti hanno pubblicato i miei materiali, rilanciandoli.
Una sensibilità nella società esiste e va ampliata con impegno e determinazione. Lancio qui un nuovo appello a tutti quelli con cui sono entrato in contatto.
A Roma e nel Lazio esistono nelle aziende private e negli enti pubblici spazi e modalità per applicare la legge n. 68 sul lavoro per le persone più fragili. Riflettete sulla nostra esperienza, mandateci opinioni e commenti, li pubblicheremo con l' evidenza che meritano.
D' ora in poi troverete sul blog, accanto ai consueti materiali sull' editoria e la comunicazione sociale, nuove puntate del mio diario e documentazione di altre esperienze. Esistono in rete molti contenuti su disabili e lavoro: a volte sono di scarso valore, ma ci sono anche soprese- delicate e sensibili- come questa, che pubblico qui sotto.
Questo trailer di un video istituzionale, realizzato per CISA da Giuseppe Varlotta, è efficace e sincero: dimostra che integrare i disabili in un paese civile è possibile. Farò ricerche sistematiche su questi materiali e ne fornirò documentazione.
Segnaleteci cose su questi temi e diffondete.



Potete visitare il sito molto interessante dell' autore del video:
http://www.giuseppevarlotta.com

giovedì 10 settembre 2009

Disabili e lavoro: le prime reazioni

Arrivano le prime reazioni alla mia pagina di diario, e la cosa ovviamente mi fa piacere. Alcuni hanno scritto, altri hanno ripreso la mia nota sui loto siti. Vengono da amici o da persone che vivono il problema della disabilità: sono coloro che sperimentano da anni un dialogo difficile e drammatico con la società civile e le istituzioni.
Va bene, ovviamente, ed è una bella ricompensa per la fatica quotidiana: creare legami, rimanere in rete, come si usa dire, aiuta a tenere alta l' attenzione verso chi rischia una nuova emarginazione sociale.
Ma il tema del lavoro è difficile e complesso, come sappiamo bene : occorrerà l' aiuto di tutti. Vi lascio - per ora- con un bel filmato che dimostra un singolare paradosso: il lavoro per le persone con disabilità può essere ottenuto, ma le difficoltà e gli ostacoli vengono da vincoli sociali o burocratici, che possono essere rimossi.
Ci sentiremo ancora (continua)

I PARADOSSI DELLE LEGGI


domenica 6 settembre 2009

Un figlio disabile e la giornata di un padre

Comincio questo diario, consigliandovi di visitare un laboratorio di lettura e scrittura per le scuole,"la mia lettera al mondo". che trovate a questo indirizzo:
E' ricco di argomenti e racconti sulla scuola e la lettura. C' è anche un motivo personale in questo suggerimento. Alla fine della pagina, troverete un video con un' intervista a Marco. Lo abbiamo portato in giro negli ultimi due anni per molte librerie a Roma e in alcune città italiane, quando c'erano le presentazioni del libro Non avevo le parole (Città Aperta, 2006)

Perche questo suggerimento?

Mancano pochi mesi alla conclusione di un tirocinio lavorativo, cominciato da Marco più di otto anni fa, come disabile lieve in un ente pubblico e che è continuato in tre posti di lavoro diversi: insieme a lui, stanno aspettando pochi altri ragazzi.
Con un' ansia sempre più incontenibile, attendiamo la conclusione di un'interminabile vicenda, che ha visto decine e decine di contatti, incontri, riunioni tra associazioni, comitati di genitori, esponenti di sindacati e partiti.
Ho imparato ormai a conoscere nelle fibre più intime i bizantinismi della politica italiana e gli anfratti misteriosi dei meccanismi burocratici.Ma non voglio parlare di politica. Lo faccio ogni mattina leggendo quattro giornali e girando per ore su Internet.
Voglio invece aprire uno spazio sull' esperienza, le emozioni e le vicende che mi stanno accadendo. Ho deciso questa cosa qualche giorno, alla fine di agosto, in una strada del quartiere. Un avvenimento casuale m' ha rivelato una parte recente di me.

Una risposta al cellulare

Un mattino, avevo un' appuntamento telefonico con una persona da cui aspettavamo risposte importanti per Marco e altri giovani. Camminavo avanti e indietro, in mezzo al rumore e alle spinte della folla che correva chi sa dove: il caldo spaventoso di mezzogiorno e l' aria puzzolente mi facevano bruciare gli occhi. Ho fatto varie chiamate tutte andate a vuoto, non c' era collegamento. Dopo il quarto o quinto tentativo, finalmente ho trovato la comunicazione. Il funzionario era impegnato in una riunione, dovevo richiamare dopo un' ora e mezza. Non sono riuscito a tornare a casa. Camminavo avanti e indietro, passando da un marciapiede all' altro, in preda ad un' agitazione inaspettata. Tante volte avevo sperimentato quei ritardi.
Il funzionario poteva avere motivi più che giustificati, ma non riuscivo a capacitarmene.
Mi tornavano alla mente tante immagini: lo sguardo pieno di mute speranze di alcuni disabili che mi aveva toccato il cuore; la generosità delle associazioni, degli amici che ci hanno aiutato anche con piccoli gesti; la disperazione di quei genitori con figli colpiti da handicap gravi, senza nessuna speranza. Marco e altri ragazzi erano fragili, ma almeno potevano vivere e muoversi nel mondo.
Per anni, col ragionamento sono riuscito a placare i sentimenti di paura. Malgrado le sconfitte, ho sempre conservato nell' intimo una speranza: l'azione pratica può dare una direzione agli avvenimenti, imporre un qualche senso al caos. Su quel marciapiede rovente, in un giorno d' estate, stremato dalla calura, spintonato da ogni parte da passanti in corsa, ho avuto per la prima volta la percezione fisica di un' assoluta precarietà, della radicale insensatezza dei tentativi umani di controllare gli avvenimenti.
Per mille motivi, la risposta a quel cellulare odioso poteva non arrivare mai: qualcuno era stato trasferito, il funzionario si era scocciato di noi, o magari era stata presa una decisione ostile. Il caso per la prima volta mi dominava.

Scoprire tra le auto la debolezza umana

Nove o dieci anni di lavoro potevano fallire per sempre, senza un motivo apparente.Ho sentito le lacrime inondarmi il viso: ero un vecchio idiota, che piangeva in mezzo allo strepito delle macchine, stringendo il telefonino con la mano sudaticcia. In preda alla vergogna mi sono rifugiato in un portone. Ho camminato nell'ingresso per tre o quattro minuti continuando a singhiozzare senza controllo.
Non riuscivo a smettere e la rabbia m' invadeva. All'improvviso dal fondo di quell' androne ho visto venirmi incontro un uomo, basso e grassoccio, vestito in modo comune.Mi è passato davanti con uno sguardo che a me è sembrato quasi ironico ed è uscito in strada. Era un' apparizione ovvia in un palazzo popolato come quello: eppure m' ha costretto a ritornare alla realtà. Ho asciugato le lacrime e sono uscito in quella calura soffocante, avviandomi verso casa.
Solo dopo due giorni, ho trovato la comunicazione. La risposta tanto attesa era rimandata di un mese... (continua).