" Adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente, come perfettamente sono conosciuto. Ora esistono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità; ma la più grande di esse è la carità" ( S. Paolo, 1° lettera ai Corinzi 13,1 )

giovedì 29 gennaio 2009

LOOP: un nuovo arrivo nel mondo delle riviste!

Il mondo delle riviste di cultura è una realtà in continua evoluzione, condizionato - come è ovvio - dai cambiamenti continui nel tessuto dell’ industria editoriale e della composizione del lavoro intellettuale. Chiusa la stagione delle riviste degli anni settanta- quella dell’ operaismo e delle “ grandi narrazioni” - sembrava finito il tempo del gruppo intellettuale autonomo che si mette al lavoro senza vincoli, con piena libertà. Da qualche anno, l’ intreccio tra editoria cartacea ed editoria digitale ha creato nuove connessioni, mutazioni feconde e i conflitti sociali hanno fatto il resto.
Tra gli ultimi arrivi ne va segnalato che si inserisce subito nel travagliato, a volte confuso, dibattito della sinistra intellettuale italiano. Si chiama Loop ed il numero zero è uscito a Dicembre 2008. In inglese il termine loop ha vari significati: da ciclo ( quindi qualcosa che ha un’ inizio ed una fine) a struttura definita. Un significato che allude alle categorie politiche, ma anche alla letteratura e alle scienze: l’ intento del collettivo intellettuale che lo promuove è quello di leggere con occhi nuovi un tempo moderno segnato da conflitti, lacerazioni e salti temporali. Due termini ricorrono nella rivista a segnare una serie di piste di ricerca che vi consigliamo di seguire, : “ Apocalisse” e "Segni dall' anno zero".
Tra gli altri contributi: Aly Baba Faye, Carlo Infante, Chiara Sasso, David Hilliard, Erri De Luca, Franco Berardi Bifo, Gabriele Castoro, Giuseppe D'Emilio, Giuseppe De Marzo, Guido Viale, Martino Mazzonis, Valerio Evangelisti, Vandana Shiva, Wu Ming 1

Sito Internet : http://www.looponline.info/

Le riviste tra il testo e lo schermo /2

La loro diffusione ha aiutato quelle fasi in cui si manifestava con fatica uno spazio pubblico per la discussione dei problemi che travagliavano la società. Ancora oggi, in un periodo di pesante regressione culturale, il bisogno di gruppi intellettuali più o meno ampi di radunarsi intorno ad una rivista, a un sito Internet o ad un blog esprime un’ esigenza ampia di una libertà, che sentiamo minacciato da troppe parti o almeno di esprimere il disagio per questa minaccia.
Le riviste sono spinte a modificarsi, a individuare nuovi territori da esplorare, nuove sfide culturali da sostenere. Si afferma un bisogno di specializzazione e diversificazione della loro realizzazione: mutano nelle riviste le condizioni di produzione, le modalità della scrittura. Una letteratura ormai ampia spiega bene la diversità delle forme della scrittura nella rete: le modalità dello stile si fanno più secche e incisive e insieme prevalgono gli strumenti dell’ analogia e dell’ evocazione.
Nel passaggio dal testo allo schermo, si fa più forte il rischio della semplificazione e dell’ appiattimento. Nell’ era digitale, la strada dei cambiamenti ancora è assai lunga e complessa, legata com’è alla risoluzione di difficili problemi di carattere culturale, ma anche economico e politico Ha scritto Franco Carlini “ .. stiamo tutti partecipando ad un esperimento collettivo dove l’ alfabetizzazione va di pari passo con la creazione dell’ alfabeto” . Ma un dato è certo. Qualunque sia lo strumento tecnico che utilizzino, le riviste resteranno uno spazio di socialità imprescindibile per esprimere il bisogno umano di riunirsi e ragionare insieme sul proprio destino.
Un solo esempio ci può aiutare a capire il senso, la direzione di un lavoro. Il primo numero della rivista Nuovi Argomenti negli anni cinquanta si concludeva con queste parole: “ .. Noi non soltanto non ci chiuderemo in un gruppo o chiesa o setta, ma apriremo le pagine della rivista a tutti coloro, noti o sconosciuti, che mostrino di avere qualcosa da dire di concreto e originale. La nostra attenzione cercherà di orientarsi soprattutto verso ciò che porta l’ accento inconfondibile della esperienza autentica sia culturale che spirituale”.
Potremmo chiudere con una battuta che riprende il titolo di un libro recente. Se la battaglia attuale è sul controllo della parola, le riviste sono un bene comune da difendere strenuamente.
(2/ fine)

Le riviste tra il testo e lo schermo /1

Rimetto in rete questo testo sulla versione online di Alternative (28 giugno 2007), che gira ancora on line. La situazione delle riviste di cultura non è mutata di molto.

Ci si può domandare legittimamente perché interessarsi ancora di riviste di cultura, in un‘ epoca in cui la riflessione critica sembra tutta risucchiata dentro le fantasmagorie dell’ universo mediatico. In realtà negli ultimi anni si è manifestato, in forme diverse, un forte ritorno di attenzione verso il mondo delle riviste. Innanzi tutto è rimasta assai costante l’attenzione degli studi specialistici intorno alle riviste “ storiche ” , come parti imprescindibili della nostra memoria collettiva. Cito per tutti due fenomeni importanti: il progetto CIRCE ( Catalogo Informatico Riviste Culturali Europee), nato nel 1998 nell’ ambito della Facoltà di Lettere e filosofia di Trento; il convegno promosso nel 2001 dalla Fondazione Luciano Bianciardi di Grosseto su Riviste di cultura e industria della comunicazione che analizzava le esperienze degli ultimi anni, alla luce anche dei nuovi cambiamenti tecnologici. L’ interesse per le riviste non sembra essere né episodico, né frutto di un’ esclusiva curiosità archeologica. Lo hanno testimoniato due raccolte di saggi uscite da Minimum Fax nel 2005 e nel 2006, che raccoglievano sotto il titolo Best Off una vasta produzione di saggi, interventi, polemiche, pubblicati sia su riviste cartacee che su periodici on line. In particolare, l’ edizione 2006, curata dallo scrittore Giulio Mozzi, ha documentato la pluralità di esperienze, polemiche culturali che attraversano la rete e si riverberano poi sulle pagine delle riviste a stampa e dei giornali nazionali ( citiamo, tra tante, il caso di una rivista letteraria on line come Nazione Indiana coordinata da Tiziano Scarpa).

Qualche domanda sulle riviste di cultura
Porsi qualche domanda sulla permanenza della rivista di cultura nel nostro panorama culturale ha quindi un senso ben preciso. La rivista nella forma tradizionale, o in quella più labile e variegata della pubblicazione on line, rappresenta - per dirla in estrema sintesi - il punto di snodo per tutti quei processi di trasformazione della produzione intellettuale che la sociologia e gli storici dell’editoria da un quindicennio e più stanno scavando. Nello stesso periodo, si sono accentuati i processi di subordinazione e massificazione del lavoro intellettuale all’ interno di un’ industria della comunicazione ormai globalizzata. Non a caso la riduzione a merce del lavoro culturale e del libro è uno dei temi fondamentali che emerge sia nelle riviste che nei blog di molti critici e scrittori. Si veda in Best Off 2006 tutta l’ analisi del successo di massa di libri seriali che sono il risultato un vero proprio progetto industriale, come i best seller di Giorgio Faletti. Tutta la riflessione sul destino della lettura nell’ occidente industrializzato ( sollecitato da tempo da libri come quelli di Andrè Schiffrin ) è segnata dal timore, da un‘ ansia crescente per la perdita di quella relativa autonomia del lavoro culturale, tipica di fasi precedenti dello sviluppo. In Italia vi è poi una peculiarità che ci appartiene. Il nostro paese è arrivata a questa ondata di modernizzazione post - industriale oppresso dal fardello di residui medievali, privilegi di casta e retaggi corporativi. In questo contesto, le riviste hanno svolto spesso un ruolo di cerniera tra le istituzioni, i lettori e una società civile troppo gracile, debolissima, in cui il pluralismo culturale e la modernità europea non si sono mai affermati pienamente ( si pensi al Risorgimento o agli anni venti).
(1/ continua)

mercoledì 28 gennaio 2009

La precarietà quotidiana

La precarietà è divenuta ormai non solo una categoria sociologica empirica, ma un concetto che si allarga a definire una condizione psicologica, uno stato emotivo di ansia diffusa. La mancanza di un lavoro certo, sommata al crollo delle tradizionali reti di coesione sociale, provoca quella condizione di “giovinezza prolungata”, che è ormai un sinonimo di concetti ormai usurati come “ disagio giovanile ”.
Una storia di ordinaria precarietà ci viene raccontata da Gianni Zanasi nel suo ultimo film, Non pensarci ( 2007). Un musicista, che ha superato da tempo i trent’anni, vive in malo modo questa condizione stralunata nella Roma d’ oggi: lavoro incerto e frustrante, una donna infedele, entusiasmi zero. Come accade sempre in questi casi, il ritorno alle radici appare una soluzione possibile, anche se illusoria. Parte per Rimini alla ricerca di se stesso, con una malinconia stupefatta che uno straordinario Valerio Mastrandea riesce a "disegnare da par suo" ( coem usano dire i critici colti).
Inizia di qui una storia di incontri con la famiglia allargata (padre, madre, sorella, cognati, nipoti) e poi i vecchi amici, le ragazze della propria adolescenza, ecc. ecc. In una trama, che poteva apparire scontata e sentimentale, il regista ha scelto la strada della commedia all’ italiana, quella acida e cattiva di cui è stato maestro Mario Monicelli.La sua influenza nell’andamento narrativo e nella scelta delle situazioni è visibile, e il maestro stesso ha sponsorizzato il film con grande calore.

Umori tra Monicelli e Moretti
Niente derive crepuscolari, quindi, ma un andamento nevrotico che mette in ridicolo tutte le illusioni del protagonista: i suoi familiari si rivelano un disastro, oppressi da preoccupazioni economiche e angosce mai confessate ; gli amici si dividono equamente tra politicanti arrivisti e vinti della vita in preda alla depressione.
Zanasi ha scelto due modalità narrative molto lucide: la dilatazione grottesca di alcuni passaggi – chiave della storia, e un’ umorismo anarcoide che pervade tutto il racconto. Ne esce un film che richiama per gli umori perfidi Mario Monicelli e per l’ ironia alcuni toni di Nanni Moretti. Il pregio migliore della vicenda è sicuramente la levità, raggiunta anche grazie ad una direzione degli attori di estrema precisione. Si ride per quasi tutto il film, ma di quel riso amaro che non è mai intriso di complicità sorniona, ma piuttosto di un lucido giudizio morale. Il ritratto della vita italiana di questi anni è impietoso. Vi si mescolano prepotenza e incultura, pulsioni volgari al consumismo e alla sopraffazione, che il regista sferza con allegra acrimonia.
Zanasi si era fatto notare con i suoi precedenti film, Nella mischia (1995), A domani ( 1999) e Fuori di me ( 1999), in cui già sapeva integrare il suo naturale pudore narrativo con uno sguardo sociologico non banale. Il successo di Non pensarci suggerisce qualche considerazione di ordine più generale che vale la pena non dimenticare . Da quattro o cinque anni almeno è in atto nel cinema italiano una ripresa fragile, ma abbastanza costante, di interesse per i temi sociali e le narrazioni che tentano di leggere criticamente la realtà del paese.
A volte accade nella forma più divulgativa e complice della commedia, come in questo film e in Tutta la vita davanti di Paolo Virzì. Altre volte quest’ interesse socio- politico prende la strada del documentario o della narrazione drammatica. Basti pensare per il primo caso alle opere straordinarie di un documentarista come Daniele Segre, ancora oggi poco conosciuto. La realtà incombe.. per fortuna.

(Rielaborazione da una recensione apparsa su Confronti nel 2008)

venerdì 23 gennaio 2009

Un programma di lavoro


Le dichiarazioni programmatiche sono sempre presuntuose. E allora tanto vale entrare direttamente in argomento. Questo blog vuole essere due cose: un diario di esperienze e uno strumento di ricerca. Al giro fatidico dei sessant'anni, sono impegnato su vari terreni: il volontariato e le questioni del disagio sociale; alcuni interessi culturali - coltivati troppo in fretta- come il cinema, la filosofia e la sociologia politica, che mi hanno condotto a scrivere su una rivista come Confronti, pubblicata a Roma, dove vivo ( e ancora prima su una testata storica come Com-Nuovi Tempi).
Di questa roba racconterò, ogni volta che posso ( con l' avanzare degli anni il tempo libero aumenta, come è noto!). Per questo troverete qui resoconti dal mondo del disagio, segnalazioni veloci di libri a leggere o riflessioni di libri letti, annunci di convegni a cui ho partecipato, e molto altro.
A questo aggiungo la speranza di poter riflettere " in diretta" su problemi nuovi, su nuove piste di ricerca teorica ed esperienze pratiche che in giro ci sono . Ho letto poco e male, tutta la vita, ma di una cosa ho una certezza granitica: la cultura deve servire a porsi i problemi del mondo, i quesiti essenziali, insolubili e sempre risorgenti, che ormai ci sembra ridicolo addiritttura formulare: perchè siamo infelici? come si sconfigge l' ingiustizia e l' ineguaglianza tra gli uomini? perchè la morte ci spaventa tanto, eppure proviamo tanto gusto ad uccidere ( come si vede anche in questi giorni in Medio Oriente)? In pochi oggi discutono di queste cose sul serio e vale la pena continuare a cercarli (come ci ricordava il titolo ammonitorio dell' ultimo libro di Claudio Napoleoni).
Per questo, mi sembrava un richiamo doveroso inserire nella intestazione una delle foto più belle di Simone Weil: militante politica, operaia e sindacalista, filosofa e teologa tra le più originali del Novecento appena passato. A presto