" Adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente, come perfettamente sono conosciuto. Ora esistono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità; ma la più grande di esse è la carità" ( S. Paolo, 1° lettera ai Corinzi 13,1 )

lunedì 29 marzo 2010

Morire di lavoro: la colpa è di chi cade



Una sera alla Libreria Rinascita a Roma

Diviso tra le pressioni di un città ormai impazzita e le speranze di una vita più lenta e riflessiva, gli ultimi mesi in ufficio prima della pensione sono i più nevrotici ed inutili. Per questo, accetto con maggior piacere - in questi mesi- gli inviti degli amici per la sera. Quelli in libreria sono sempre i migliori: si fanno incontri stimolanti, si viaggia un poco con la mente.
Ieri sera alla Libreria Rinascita di Largo Agosta a Roma mi è capitato di fare uno di quegli incontri che rimangono a lungo nella memoria. Le presentazioni in questo spazio della prima periferia romana, quella dei quartieri storici, si svolgono sempre in un clima gradevole, tra la confusione di libri e giornali e i rumori del bar. Qui mi è capitato di assistere alla presentazione di un libro di Fabrizio Ricci su un tema tragico e fondamentale per la qualità della nostra vita civile: le morti sul lavoro.

Morire di lavoro


“ Se la colpa è di chi muore” ( Castelvecchi, 2010, p. 192) è la prima controinchiesta dedicata alla strage della Umbria Olii in cui morirono quattro lavoratori per l’esplosione di un silos. Alla tragedia si è aggiunto dopo l’ elemento grottesco di una vicenda giudiziaria: alle famiglie dei morti è stato chiesto un risarcimento di 35 milioni di euro.
Nel volume, questo giovane giornalista, che dal 2007 è responsabile dell’ ufficio stampa regionale della Cgil Umbria, ricostruisce le drammatiche sequenze dell’incidente e gli avvenimenti che ne sono seguiti.Il dibattito ha documentato bene quale sia la realtà delle tragedie che l’ incuria criminale e la smania di profitto ad ogni costo producono: milletrecento morti l’ anno, all’ incirca, nell’ indifferenza generale e nella diffusione generalizzata di un mercato del lavoro precario e senza garanzie.
Contro il rischio di questa assuefazione, Fabrizio Ricci scrive pagine rigorose e ben documentate, animate da una forte passione civile: “.. Lentamente, a partire dal rogo della Umbria Olii e poi in maniera ancora più forte dopo la tragedia della Thyssen, si era andata formando nel Paese una tensione morale nuova, quasi un risveglio collettivo di fronte a una piaga presente da sempre, ma che a un certo punto era sembrata di colpo qualcosa di non più tollerabile nel terzo millennio e in un Paese che continua a considerarsi tra i più avanzati al mondo. La spinta di una nascente coscienza collettiva sembrava forte, quasi irresistibile. Finalmente qualcosa sarebbe cambiato, il trend invertito, la vergogna interrotta. Non è facile dire quanto sia rimasto di questo slancio oggi. Certo è che l'attenzione dei media (dei grandi media) è progressivamente venuta meno. Il processo Thyssen è uscito di scena, confinato nelle pagine locali di qualche quotidiano. Le altre tragedie recenti, sono prima sfumate e poi scomparse.”


Ridare un volto alle persone morte


Insieme al libro, il comitato contro le morti sul lavoro di Roma ha presentato la mostra fotografica "Non numeri, ma persone" dell'Associazione per la sicurezza nazionale "Ruggero Toffolutti" di Piombino. Questa mostra vuole ridare un volto, un nome e un cognome a chi tutti i giorni muore perché vittima dello sfruttamento e di chi fa della sicurezza sul lavoro solo uno slogan propagandistico. Accompagnata anche da un'installazione a cura di Eraldo Ridi, la mostra è composta da fotografie, scelte dai familiari delle vittime sul lavoro durante la loro vita quotidiana. Si tratta di 28 foto che non danno un volto a tutte le persone morte ma che vuole comunque essere un primo passo per cominciare ad urlare che i lavoratori non vogliono rientrare in nessuna statistica né tanto meno essere sacrificati per superare la crisi.
Libri e iniziative come questa ci aiutano a non dimenticare, a tenere viva l’ attenzione. Mi interesso da dieci anni di disabilità e mi preme aggiungere una notazione personale all’ analisi del bel libro di Ricci. Accanto alla conta tragica dei morti , ce n’ è un ‘altra: quella di chi rimane vivo, ma colpito in una parte del corpo, e nello spirito ( con la depressione e il disagio psichico). Migliaia di vittime ogni anno, diverse per condizione, tutte unite da un comune destino: un modo di lavorare ostile all’ uomo e ai suoi bisogni.

Per saperne di più

http://www.ruggero-toffolutti.org/

http://www.rassegna.it/articoli/2010/01/20/57221/umbria-olii-se-la-colpa-e-di-chi-muore
http://www.castelvecchieditore.com/

1 commento:

  1. è brutto constatare alla tua età l'assoluta ignavia della tua esistenza

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