" Adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente, come perfettamente sono conosciuto. Ora esistono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità; ma la più grande di esse è la carità" ( S. Paolo, 1° lettera ai Corinzi 13,1 )

domenica 24 gennaio 2010

I fratelli Coen e le domande senza senso

I fratelli Joel ed Ethen Coen ci hanno abituati sin dai loro primi film a protagonisti stralunati, privi di un rapporto armonico col mondo. Da Barton Fink – è successo a hollywood(1991) a Fargo (1996) a Il grande Lebowski (1998), vivono tutti nell' nell' ansia più angosciosa, subendo avvenimenti di cui faticano a ricostruire il senso.
La verà novità del loro cinema e' lo stile narrativo che non ha nulla dei consueti schemi del cinema americano. Nessuna notazione realistica, ma una girandola di citazioni dei generi consolidati, che alterna commedia e tragedia con continui rimandi allusivi. Non a caso per il loro cinema viene sempre richiamata la tradizione di provenienza : il mondo ebraico che gli fornisce umori, storie e idiosincrasie.

Gli incubi della normalità

Anche in questo ' ultimo A serious man (2009) ritroviamo queste tonalità nella storia di Larry Gopnik, il tipico uomo medio con una vita apparentemente normale, a cui ci ha abituato tanta narrativa americana. Professore di fisica in una piccola università del Middle West, scopre con uno stupore inebetito i mille guai della sua vita : la moglie vuole il divorzio, la figlia mente in continuazione, il fratello irresponsabile si caccia in guai terribili, e infine la sua facoltà non vuole rinnovargli il contratto di lavoro.Da ebreo rispettoso, si rivolge a ben tre rabbini, alla ricerca di una soluzione al suo disagio inspiegabile. Non solo non riceve nessuna risposta credibile, ma le poche frasi smozzicate e misteriose aumentano il suo disagio: Dio gli appare avvolto in una dimensione lontana e oscura.

Uu mondo senza consolazione

Tutto il film è segnato da questo sentimento di solitudine e di minaccia imminente, che si precisa in modo aperto in un finale da non rivelare. I due registi hanno dato agli spettatori un’ indicazione abbastanza chiara sulle fonti ispiratrici della vicenda. In un breve prologno ambientanto in Polonia in uno shtetl ( il borgo ebraico), un uomo e una donna ricevono nella notte la visita di un dybbuk : nellla tradizione, è lo spirito disincarnato di un defunto che cerca di possedere gli esseri viventi, per portare a compimento dei compiti non realizzati in vita.
Anche questa introduzione, pronunciata in una lingua incomprensibile, aumenta il senso del mistero. I Coen confermano la loro visione di un mondo senza consolazione, su cui hanno ironizzato nelle opere precedenti, e in particolare nelle due più riuscite: una commedia con un morale molto seria come Fratello dove sei? ( 2000 ) e un film tragico come L' uomo che non c'era ( 2001 ), capace di sconfinare nel grottesco più aperto.
Quest' ultimo protagonista è un novello Giobbe, perseguitato dall' azione malvagia di un dio oscuro. Agli spettatori sconcertati da questa gelida allegria, consiglio la lettura di uno splendido libro di un critico come Guido Fink: Non solo Woody Allen. La tradizione ebraica nel cinema americano (Marsilio). Qui troverete due temi che sono alla base del lavoro dei fratelli Coen : il dybbuk - appunto - lo spirito non più uomo e non ancora trapassato, e la tendenza a porre domande più che a fornire risposte. Se le domande sono così divertenti, ne vale comunque la pena.

( Pubblicato sul n. di Confronti di Gennaio 2010)

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