" Adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente, come perfettamente sono conosciuto. Ora esistono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità; ma la più grande di esse è la carità" ( S. Paolo, 1° lettera ai Corinzi 13,1 )

mercoledì 21 settembre 2011

La manovra economica: che succede ai più deboli?

Dopo un tormentone durato vari mesi , a causa delle diverse modifiche in corso d' opera e delle proteste delle categorie toccate dai provvedimenti ( commercianti, professionisti, imprenditori, ecc.), la seconda manovra economica approvata dal governo Berlusconi è finalmente entrata in vigore. In queste settimane sono stati moltissimi i commenti critici verso un provvedimento, giudicato negativamente – per ragioni a volte coincidenti – dalla Confindustria, dai sindacati e dalle organizzazioni del terziario.
Tra le critiche, vale la pena mettere in evidenza le proteste dure e unanimi del mondo del volontariato e del terzo settore, che si occupa dei soggetti più fragili della società. Ma qual è la ragione di questa unanimità di opinioni in un mondo così complesso, che accomuna soggetti e associazioni di differente orientamento politico. Il primo elemento è ovvio. A giudizio non solo di tutte le parti sociali, ma di economisti di grande valore ( Luciano Gallino, Guido Rossi, Tito Boeri, per citarne solo alcuni), le due manovre votate hanno un preoccupante segno recessivo: l' accento costantemente messo sul riequilibro ferreo dei conti, sul contenimento della spesa pubblica, e in particolare dei salari e della spesa sociale, rende problematica la possibilità di una ripresa dell' economia, in un contesto europeo, che sembra correre verso una nuova recessione.
Se il nemico da battere è la spesa sociale ( improduttiva per un’ aprioristica definizione ), ha un qualche senso osservare questa manovra ( e le prossime) " dal basso", dal punto di vista dei soggetti meno garantiti. Partiamo innanzi tutto dalle cifre. Qual’ è oggi la situazione del disagio sociale, inteso in accezione complessa ? Secondo la più recente fonte Istat, i poveri in Italia sono 7.810.000, un cifra che alcune organizzazioni come la Caritas mettono in discussione aggiungendovi altre 500 mila unità.
Come è noto, nella definizione delle aree di povertà, vanno calcolati non solo i poveri tradizionalmente intesi, ma anche coloro che vivono in famiglie numerose e con un solo reddito. Quando siano privi di un lavoro e di un reddito accettabile, vanno considerati come poveri i single, le donne sole con figli, i separati o i divorziati, non solo quelli residenti nel Sud d’ Italia, ma anche quelli abitanti nel Nord, dove pesa fortemente il differenziale tra reddito e costo della vita.
Consideriamo il problema della povertà da un altro punto di vista, quello della disabilità. Secondo le stime del Censis, che adotta criteri larghi sono 4,1 milioni le persone disabili che vivono in Italia, pari al 6,7% della popolazione. Possiamo aggiungere a questa area del disagio un settore sociale che negli ultimi anni continua ad aumentare, e che va collocato al crocevia tra sociale e sanitario: gli anziani non più autosufficienti.
Secondo i documenti ufficiali del Ministero del Lavoro, " ..già oggi in Italia le persone con 65 anni e più rappresentano oltre il 20% della popolazione con una tendenza in costante e continua crescita nei prossimi anni ” . Come si comprende, si tratta di una crescita determinata dall’ “ ..invecchiamento generalizzato della popolazione, progressivo ed inesorabile nel tempo".
Da questo contesto emerge uno scenario drammatico in cui il 20- 25 % della nostra società vive una condizione di crescente emarginazione economica e sociale . Ne ha preso atto immediatamente, il Consiglio Direttivo della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap) , che ha proclamato lo stato di mobilitazione delle associazioni di persone con disabilità ed ha espresso una forte preoccupazione per le drammatiche prospettive di vita che si aprono per le persone con disabilità e per le loro famiglie.
«Non poteva essere altrimenti - si legge in una nota della Federazione - dopo l'approvazione della seconda Manovra Finanziaria e soprattutto in attesa della discussione parlamentare della Delega al Governo per la riforma fiscale e assistenziale. Da subito, infatti, ci sono i tagli agli Enti Locali, mentre dal 2012 a fare il resto sarà appunto la riforma del fisco e dell'assistenza, visto che le due Manovre approvate in questi mesi impongono un taglio di 40 miliardi in tre anni. Saranno dunque colpite le pensioni di invalidità, le indennità di accompagnamento e le pensioni di reversibilità, senza che al contempo esista più il Fondo per la Non Autosufficienza, mentre quello per le Politiche sociali è stato ridotto a 69 milioni di euro per il 2012 e a 44 per il 2013, salvo ulteriori tagli».
Già si sono svolte le prime iniziative di mobilitazione delle famiglie dei disabili , che si sono inserite in un clima sociale di protesta e insofferenza sociale diffusa.
Non è facile prevedere come si evolverà un situazione che è influenzata da variabili europee e non solo: la crisi italiana è legata al destino dell’ euro e alla crisi altrettanto drammatica di altri paesi come la Grecia. Ma questo sommario sguardo su un Italia, osservata dal “basso”, permette di fare una prima previsione, abbastanza fosca. Al disagio crescente di quel 15 - 20% di soggetti deboli ( disabili, anziani, poveri vecchi e nuovi) si sta aggiungendo la precarizzazione di una parte del ceto medio che vede minacciati i propri margini di sopravvivenza: basti pensare non solo ai settori industrial in crisi ( auto, cantieristica, terziario ecc), in cui vi è il rischio di licenziamento per almeno 500 mila di persone in cassa integrazione.
Queste sono le radici sociali del pericolo di rottura della coesione sociale, di cui tutti discutono da mesi, senza che si riesca a vedere sino ad oggi la fuoriuscita da un ingorgo politico e istituzionale assai pericoloso. Occorrerebbe uno sforzo eccezionale, con movimenti sociali unitari e soluzioni politiche credibili, per costruire una fuoriuscita. Per ora non se ne vedono i presupposti.


( In uscita su Confronti)

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