" Adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente, come perfettamente sono conosciuto. Ora esistono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità; ma la più grande di esse è la carità" ( S. Paolo, 1° lettera ai Corinzi 13,1 )

martedì 6 ottobre 2009

Il lavoro, tra speranza e paura

Ho cominciato a far politica attiva a diciotto anni, nel 1966 e le sezioni di quartiere del partito comunista furono, per tanti motivi. il mio luogo di elezione. Per chi viveva nelle pieghe della periferia romana, era una scelta quasi naturale. Negli anni successivi, mentre studiavo Filosofia all’ Università, cominciai a lavorare in un ente pubblico: da precario ( si direbbe oggi ). Negli uffici grigi e sonnolenti di un palazzo del centro storico, imparavo a leggere una busta paga, a discutere di contratti di lavoro e a organizzare i primi scioperi di impiegati timorosi. Più che le mie parole, furono convinti a uscire allo scoperto dal passaggio sotto le nostre finestre dei grandi cortei operai del 1969. Osservavano incuriositi e stupefatti quei cortei come fossero la realtà di un mondo sconosciuto.


Il lavoro apre gli occhi sul mondo


I temi del lavoro divennero il centro dei miei interessi di vita. Il resto lo fece la lettura dei libri, obbligatoria in quegli anni per chiunque voleva tenere gli occhi aperti. Nel Pci simpatizzai subito per quella che più tardi si definì- con le consuete approssimazioni- la sinistra sindacale. Mi affascinava quel legame stretto tra i problemi pratici del mio lavoro, che seguivo con fatica e timore, e le grandi richieste di democrazia e partecipazione dal basso che circolavano nella società. Mi sembrava fosse possibile unire al grande movimento in corso nella società le ansie e le piccole virtù di una famiglia modesta come la mia.
In quel dibattito, in quelle riviste, imparai a conoscere nomi che sono già avvolti dall’ alone dell’ altro secolo e sono trascorsi appena trent’ anni! Ma un giovane di oggi farebbe fatica a capire il senso di nomi come Bruno Trentin, Vittorio Foa, Aris Accornero e tanti altri. Divenni un giovane militante del nascente sindacato del pubblico impiego, che cercava con generosità di far uscire gli impiegati da una annosa subalternità di taglio borbonico.
Ho ancora chiara nella mente, ad esempio, l’ emozione che suscitava nelle nostre fumose riunioni della CGIL a Piazza Vittorio l’ uscita dei Quaderni di Rassegna sindacale, in cui ritrovavamo non solo le questioni strettamente economiche, di categoria, ma gli interventi di scrittori, saggisti e filosofi. Ci affascinava insomma quella capacità di guardare oltre l’ orizzonte di categoria, ricercando un cambiamento del paese, che tenesse insieme tutti gli aspetti della vita civile. Noi balbettavamo con fatica problemi come la “ riforma degli apparati dello stato” o la “lotta agli sprechi”: quei dibattiti delle riviste sindacali ci infondevano coraggio, sembravano darci una direzione, aprire una strada.
Come sia andata, è storia recente e non vale la pena di parlarne qui. Ma la vita ha per gli uomini percorsi misteriosi.

Percorsi di vita, tra politica e privato

In un contesto sociale ormai lontano da quel mondo della mia gioventù, ho dovuto reincontrare - da un altro punto di vista - quei temi e quelle suggestioni. In queste ultime settimane, ho sentito come una sconfitta bruciante, uno schiaffo in viso la vicenda - ancora in corso - del blocco delle assunzioni dei disabili nelle pubbliche amministrazioni, deciso di da questo governo.
Tanti ragazzi come Marco, con problemi di disabilità lieve, sono da anni impegnati in periodi di tirocinio gratuito negli enti pubblici, senza nessun prospettiva di un’ occupazione decente. Tra le molte proteste che come genitori siamo riusciti a diffondere vi sono state quelle della CGIL del mio ministero e di altri posti di lavoro.Mi è venuto allora in mente che forse potevo cercare un aiuto sulla stampa: è’ il grande cruccio di ogni movimento di protesta: come arrivare ad un giornale?
Il primo nome emerso nella memoria è stato quello di Bruno Ugolini, che cura da tempo una rubrica sul mondo del lavoro per l’ Unità. Per chi ha vissuto tra gli anni settanta e novanta quella stagione del movimento sindacale, di cui parlo qui, Ugolini è una figura importante.
Redattore delle principali riviste sindacali di quel periodo, è stato autore di due libri- intervista a Bruno Trentin, di tanti altri volumi ( ricerche sulla storia del Pci, la condizione della donna e le trasformazioni sociali italiane). Ha seguito la storia del movimento sindacale e le condizioni del mondo del lavoro con un’ onestà e una passione critica esemplari.
Raccontando per l’ ennesima volta la storia di Marco, gli ho scritto ad una mail, trovata sul giornale, senza troppa speranza: conosco la vita interna dei quotidiani e delle riviste, dominata dalla velocità e dall’ affanno di far uscire l’ articolo del giorno dopo. Invece non solo ho ricevuto una risposta immedita, umana e disponibile, ma poco tempo dopo è uscito sull’ Unità l’articolo che trovate nel blog.
Le lacrime non sono mancate ed è inutile vergognarsene. Mi arrivava un aiuto insperato per una battaglia durata dieci anni, ma anche un’ eco amichevole da un passato che mi aveva formato l’ intelligenza e il cuore. Alla mia età, non è poco e quindi ne rendo grazie all’autore.

Per saperne di più

http://ugolini.blogspot.com

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