Due giovani allegri e vitali, che si
chiamano Juliette e Roméo, non possono non
sentirsi attratti, specie se si incontrano in una discoteca. Trascinati
dalla passione, si sposano immediatamente, con scarsa coscienza delle difficoltà che possono incrinare e distruggere anche il
rapporto più intenso. La vita li
sottopone subito ad una prova durissima, che rischierà di
distruggerli: al figlio nato da poco viene diagnosticato un tumore al
cervello.
La sentenza dei medici è impietosa:
c’è una possibilità minima di guarigione. Con
il coraggio e la passionalità, tipici
della giovinezza, i due decidono
di dichiarare alla malattia una vera guerra psicologica, fatta di scelte determinate e di una
dolorosa speranza. Saranno aiutati solo dalla loro forza e dall’ affetto della famiglia e degli amici.
Si poteva temere molto
da un film come La guerra è dichiarata, seconda opera di Valérie Donzelli, giovane regista francese. Si poteva
temere soprattutto la caduta nelle
consuete vicende consolatorie, segnate dalla retorica del dolore di tante opere commerciali. Non è stato così e
il risultato è sorprendente, da non perdere.
Come è già stato raccontato sulla stampa, va detto innanzi tutto che la
vicenda è autobiografica: la regista ci racconta i primi cinque anni della malattia del figlio Gabriel e ha voluto lei
stessa interpretare il ruolo della protagonista.
Questa scelta iniziale dà alla
narrazione un tono di verità e di forte partecipazione emotiva. La vitalità della storia è aumentata da altre due originali
caratteristiche. La regista sceglie come
asse del film il punto di vista dei due
giovani, generosi e frenetici: ne sottolinea l’ amore per la vita, la voglia di
divertirsi e anche le incoscienze. Nella costruzione narrativa non c ‘ è quindi
nessun appesantimento melodrammatico: i
rapporti psicologici tra i due sono descritti
con dolorosa autenticità . Si alternano
in loro momenti di speranza e depressione, che la regista segue con un montaggio angosciato e pieno di cesure.
L’ altro elemento che completa l’esito
felice di quest’ opera, e ne fa un
risultato abbastanza unico, è appunto lo
stile. L’ autrice procede per stacchi sincopati, che esprimono bene la
spinta emotiva dei due giovani e diminuiscono ogni possibile effetto
lacrimevole. Per prendere le distanze dal materiale bruciante, inserisce
nella narrazione anche brevi parti cantate, secondo una tradizione tipica del
cinema francese ( si pensi, per esempio, a Jacques Demy ). Si rimane per un
attimo sconcertati, ma l’ intento di tenere sveglia l’ attenzione dello
spettatore è raggiunto.
Una storia di umana solidarietà,
quindi, raccontata con intelligenza critica e una partecipazione umana insolita per i nostri tempi. Vale la pena
notare che, oltre all’ opera di Valérie
Donzelli, vi sono stati in quest’ ultimo
anno altri film di forte impegno etico, che prendevano le mosse da forti casi
esistenziali e che stanno avendo un buon successo. Basti citare Quasi
amici di Olivier Nakache ed Eric Toledano, dedicato al tema della disabilità, e Amour,
l’ ultimo film di Michael Haneke sull’ eutanasia, non ancora arrivato in
Italia.
Evidentemente abbiamo bisogno di
pensare in profondità, oltre la chiacchiera quotidiana.
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