" Adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente, come perfettamente sono conosciuto. Ora esistono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità; ma la più grande di esse è la carità" ( S. Paolo, 1° lettera ai Corinzi 13,1 )

mercoledì 13 giugno 2012

Dichiarare guerra al dolore

Due giovani allegri e vitali, che si chiamano Juliette e Roméo, non possono non  sentirsi attratti, specie se si incontrano in una discoteca. Trascinati dalla passione, si sposano immediatamente, con  scarsa coscienza delle difficoltà che  possono incrinare e distruggere anche il rapporto più intenso.  La vita li sottopone  subito ad una prova  durissima, che rischierà di distruggerli:  al figlio  nato da poco viene diagnosticato un tumore al cervello. 
La sentenza dei medici è impietosa: c’è una possibilità minima di guarigione. Con  il coraggio e la passionalità, tipici  della giovinezza, i due  decidono di dichiarare alla malattia   una  vera  guerra  psicologica,   fatta di scelte determinate e di una dolorosa speranza. Saranno aiutati solo dalla loro forza e dall’ affetto  della famiglia e degli amici.
Si poteva  temere molto  da un  film come La guerra è dichiarata, seconda opera  di Valérie Donzelli, giovane regista francese. Si poteva temere soprattutto  la caduta nelle consuete vicende consolatorie, segnate dalla retorica del dolore  di tante opere commerciali. Non è stato così e il risultato è sorprendente, da non perdere.  Come è già stato raccontato sulla stampa, va detto innanzi tutto che la vicenda è autobiografica: la regista ci racconta i primi cinque anni della  malattia del figlio Gabriel e ha voluto lei stessa interpretare il ruolo della protagonista.
Questa scelta iniziale dà alla narrazione un tono di verità e di forte partecipazione emotiva. La vitalità  della storia è aumentata da altre due originali caratteristiche.  La regista sceglie come asse del film  il punto di vista dei due giovani, generosi e frenetici: ne sottolinea l’ amore per la vita, la voglia di divertirsi e anche le incoscienze. Nella costruzione narrativa non c ‘ è quindi nessun appesantimento melodrammatico:  i rapporti psicologici tra i due  sono descritti con dolorosa  autenticità . Si alternano in loro  momenti di  speranza e depressione,  che la regista segue  con un montaggio angosciato e pieno di cesure. L’ altro elemento che completa  l’esito felice di quest’ opera,  e ne fa un risultato abbastanza unico,  è appunto lo stile. L’ autrice  procede per  stacchi sincopati, che esprimono bene la spinta emotiva dei due giovani e diminuiscono ogni  possibile  effetto  lacrimevole. Per prendere le distanze dal materiale bruciante, inserisce nella narrazione anche brevi parti cantate, secondo una tradizione tipica del cinema francese ( si pensi, per esempio, a Jacques Demy ). Si rimane per un attimo sconcertati, ma l’ intento di tenere sveglia l’ attenzione dello spettatore è raggiunto.
Una storia di umana solidarietà, quindi, raccontata con intelligenza critica e  una partecipazione umana  insolita per i nostri tempi. Vale la pena notare che,  oltre all’ opera di Valérie Donzelli, vi sono stati  in quest’ ultimo anno altri film di forte impegno etico, che prendevano le mosse da forti casi esistenziali e che stanno avendo un buon successo. Basti citare  Quasi amici  di Olivier Nakache ed Eric Toledano,  dedicato al tema della disabilità,  e Amour, l’ ultimo film di Michael Haneke sull’ eutanasia, non ancora arrivato in Italia.  
Evidentemente abbiamo bisogno di pensare in profondità, oltre la chiacchiera quotidiana.

Umberto Brancia

( in uscita sul mensile Confronti)

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