" Adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente, come perfettamente sono conosciuto. Ora esistono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità; ma la più grande di esse è la carità" ( S. Paolo, 1° lettera ai Corinzi 13,1 )

domenica 6 settembre 2009

Un figlio disabile e la giornata di un padre

Comincio questo diario, consigliandovi di visitare un laboratorio di lettura e scrittura per le scuole,"la mia lettera al mondo". che trovate a questo indirizzo:
E' ricco di argomenti e racconti sulla scuola e la lettura. C' è anche un motivo personale in questo suggerimento. Alla fine della pagina, troverete un video con un' intervista a Marco. Lo abbiamo portato in giro negli ultimi due anni per molte librerie a Roma e in alcune città italiane, quando c'erano le presentazioni del libro Non avevo le parole (Città Aperta, 2006)

Perche questo suggerimento?

Mancano pochi mesi alla conclusione di un tirocinio lavorativo, cominciato da Marco più di otto anni fa, come disabile lieve in un ente pubblico e che è continuato in tre posti di lavoro diversi: insieme a lui, stanno aspettando pochi altri ragazzi.
Con un' ansia sempre più incontenibile, attendiamo la conclusione di un'interminabile vicenda, che ha visto decine e decine di contatti, incontri, riunioni tra associazioni, comitati di genitori, esponenti di sindacati e partiti.
Ho imparato ormai a conoscere nelle fibre più intime i bizantinismi della politica italiana e gli anfratti misteriosi dei meccanismi burocratici.Ma non voglio parlare di politica. Lo faccio ogni mattina leggendo quattro giornali e girando per ore su Internet.
Voglio invece aprire uno spazio sull' esperienza, le emozioni e le vicende che mi stanno accadendo. Ho deciso questa cosa qualche giorno, alla fine di agosto, in una strada del quartiere. Un avvenimento casuale m' ha rivelato una parte recente di me.

Una risposta al cellulare

Un mattino, avevo un' appuntamento telefonico con una persona da cui aspettavamo risposte importanti per Marco e altri giovani. Camminavo avanti e indietro, in mezzo al rumore e alle spinte della folla che correva chi sa dove: il caldo spaventoso di mezzogiorno e l' aria puzzolente mi facevano bruciare gli occhi. Ho fatto varie chiamate tutte andate a vuoto, non c' era collegamento. Dopo il quarto o quinto tentativo, finalmente ho trovato la comunicazione. Il funzionario era impegnato in una riunione, dovevo richiamare dopo un' ora e mezza. Non sono riuscito a tornare a casa. Camminavo avanti e indietro, passando da un marciapiede all' altro, in preda ad un' agitazione inaspettata. Tante volte avevo sperimentato quei ritardi.
Il funzionario poteva avere motivi più che giustificati, ma non riuscivo a capacitarmene.
Mi tornavano alla mente tante immagini: lo sguardo pieno di mute speranze di alcuni disabili che mi aveva toccato il cuore; la generosità delle associazioni, degli amici che ci hanno aiutato anche con piccoli gesti; la disperazione di quei genitori con figli colpiti da handicap gravi, senza nessuna speranza. Marco e altri ragazzi erano fragili, ma almeno potevano vivere e muoversi nel mondo.
Per anni, col ragionamento sono riuscito a placare i sentimenti di paura. Malgrado le sconfitte, ho sempre conservato nell' intimo una speranza: l'azione pratica può dare una direzione agli avvenimenti, imporre un qualche senso al caos. Su quel marciapiede rovente, in un giorno d' estate, stremato dalla calura, spintonato da ogni parte da passanti in corsa, ho avuto per la prima volta la percezione fisica di un' assoluta precarietà, della radicale insensatezza dei tentativi umani di controllare gli avvenimenti.
Per mille motivi, la risposta a quel cellulare odioso poteva non arrivare mai: qualcuno era stato trasferito, il funzionario si era scocciato di noi, o magari era stata presa una decisione ostile. Il caso per la prima volta mi dominava.

Scoprire tra le auto la debolezza umana

Nove o dieci anni di lavoro potevano fallire per sempre, senza un motivo apparente.Ho sentito le lacrime inondarmi il viso: ero un vecchio idiota, che piangeva in mezzo allo strepito delle macchine, stringendo il telefonino con la mano sudaticcia. In preda alla vergogna mi sono rifugiato in un portone. Ho camminato nell'ingresso per tre o quattro minuti continuando a singhiozzare senza controllo.
Non riuscivo a smettere e la rabbia m' invadeva. All'improvviso dal fondo di quell' androne ho visto venirmi incontro un uomo, basso e grassoccio, vestito in modo comune.Mi è passato davanti con uno sguardo che a me è sembrato quasi ironico ed è uscito in strada. Era un' apparizione ovvia in un palazzo popolato come quello: eppure m' ha costretto a ritornare alla realtà. Ho asciugato le lacrime e sono uscito in quella calura soffocante, avviandomi verso casa.
Solo dopo due giorni, ho trovato la comunicazione. La risposta tanto attesa era rimandata di un mese... (continua).

3 commenti:

  1. Coraggio, coraggio e speriamo proprio bene
    Un abbraccio forte da Mara e Dom
    http://avanzi-avanzi-avanzi.blog.kataweb.it/

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  2. Caro Umberto,
    la tua sofferenza dimostra
    l'attaccamento ad un problema che si considera prioritario, forse oltre
    il limite di sopportabilità umana propria.
    Sapessi quante volte ho
    cercato di capire come fanno certi personaggi ad elidere i sentimenti
    difronte ad ogni situazione, anche del loro ambito.
    Davanti allo
    sguardo, reale o immaginato, del figlio in stato di debolezza, in
    questa società sempre più navigata nell'apparire esteriormente, il
    tremore della preoccupazione mi trascina ai doveri non alienabile.
    Via
    a costruire un nuovo ponte. Come sai, di ponti ne costruiamo tanti per
    i nostri figli, con tanta fatica. Basta una "disattenzione" degli
    addetti ai lavori, e si distrugge tanto lavoro faticoso. Un danno che
    si ripercuote sui ragazzi.
    A volte mi viene di gridare a quei
    personaggi che incontro per strada con quei macchinoni con il marchio
    pubblico "..... perchè ?"
    Forse mi manca il coraggio.
    Speriamo che il
    prossimo ponte sia quello correto per passare oltre, ad un nuovo
    problema.
    Un abbraccio
    giuseppe d.

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  3. l'ultima testimonianza della battaglia di Umberto è toccante e coraggiosa.Ci vuole un autentico coraggio civile per mettere in gioco pubblicamente e così radicalmente il proprio vissuto e le proprie emozioni.
    Peppino Englaro lo ha fatto per una situazione molto più drammatica.Non è molto diversa però la battaglia di una vita e per una vita portata avanti da Umberto, che ci ha messo dentro tutto il bagaglio delle sue risorse personali, quelle di Marco, di tutta la famiglia: intelligenza, cultura, valori etici e religiosi, e tutto il denaro che negli anni è stato necessario. Il suo modo di operare è stato quello di chiedere che venisse riconosciuto concretamente il diritto alla solidarietà che la legge prevede nei confronti di persone fragili e svantaggiate. L'impegno per migliorare e dare applicazione trasparente alla normativa piuttosto che la richiesta che gli venissero elargiti favori.
    Chi deve decidere, ed è pagato per questo, non risponde al telefono, non richiama, è "fuori posto".Da una parte le persone concrete, grumi di vita e di esistenza, dall'altro figure anonime e irresponsabili, il solito "muro di gomma". Caro Umberto sono loro ad essersi persi nel caos dell'insensatezza.
    Rosario G.

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