" Adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente, come perfettamente sono conosciuto. Ora esistono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità; ma la più grande di esse è la carità" ( S. Paolo, 1° lettera ai Corinzi 13,1 )

lunedì 1 novembre 2010

Uscire (subito) dall'apatia

L' articolo di Goffredo Fofi, tratto dalla consueta rubrica settimanale "La domenica degli italiani", su " L' Unità " (31 Ottobre 2010, merita di essere rilanciato per due motivi: descrive in sintesi lo stato attuale della crisi italiana e segnala con urgenza la necessità di un impegno in quell' ambito sociale e culturale, da cui dipende un' uscita vera da questo pantano.


Per chi vuole avere notizie dell' atmosfera culturale degli anni sessasnta, si veda la bella intervista a Luca Baranelli su "L' ospite ingrato", una tra le migliori riviste on line italiane.
http://www.ospiteingrato.org/Sezioni/editoria_e_industria_culturale/Baranelli.html


Non ho mai ritrovato un agile “libro bianco” dell’Einaudi dei primissimi anni sessanta che si intitolava Uscire dall’apatia, ma ne ho un ricordo molto preciso. Lo aveva messo insieme E. P. Thompson, grande storico e gran personaggio della sinistra inglese, con l’aiuto di Peter Worsley, l’autore di un mitico saggio sul risveglio del terzo mondo, La tromba suonerà (che aveva fatto pubblicare Panzieri sempre da Einaudi) che vi scrisse degli effetti delle lotte anticoloniali sull’Inghilterra. C’era ancora nel libro il saggio di non-ricordo-chi sul modello di società consumista che andava allora affermandosi, eccetera, ma me ne piacque soprattutto il titolo: un invito al risveglio delle coscienze e alla ripresa di un discorso di sinistra che veniva dopo gli anni della guerra fredda.

Fine di un trentennio


È passato tanto tempo, e quel titolo ha ripreso a ossessionarmi e a sembrarmi attualissimo dopo il trentennio del sonno delle coscienze che ha portato alla morte della sinistra, il trentennio berlusconiano in cui un po’ tutti si sono lasciati irretire, anche i presunti oppositori e in particolare una intellighenzia che mai, neanche sotto il fascismo, è stata forse altrettanto cedevole e complice nei confronti dello stile di vita e di pensiero dominante, chiacchiere a parte. Mi pare un bellissimo titolo e qualcosa di più, una parola d’ordine per il nostro presente. Il periodo delle vacche grasse, della immensa truffa globale della “new economy” e della nuova finanza si è chiuso – e la crisi cresce e dilaga, né si vedono in giro delle realistiche possibilità di frenarla.
La scelta delle classi dirigenti, dei super-ricchi che il trentennio ha prodotto, di un’oligarchia oscena e infame è chiaramente quella di non pagare un soldo per i danni da essa prodotti, e anzi di far pagare i costi della crisi ai proletari, ai poveri e a un ceto medio che vede amaramente punita la sua dabbenaggine e la sua avidità. Accade in Inghilterra, in Francia, in Spagna, in Italia, e finirà purtroppo per accadere di nuovo anche negli Usa, non accade, forse, in poche roccaforti del vecchio sistema economico, e non accade nei paesi emergenti che stanno inventando il futuro e che presumibilmente lo domineranno.

Un vero esame di coscienza


Se è vero che il trentennio è finito e si è aperta una nuova fase, per entrarvi non da schiavi è assolutamente necessario “uscire dall’apatia”, è questo la sollecitazione pressante da rivolgere a chi ancora crede nei valori di giustizia e solidarietà e non si è lasciato castrare dai modelli egoistici, corporativi e magari mafiosi degli anni delle vacche grasse. Ma come possono “uscire dall’apatia” quelli che hanno rinunciato a pensare e hanno affossato, appena ieri, in sé e negli altri, il super-io sacrosanto che determinava una scelta di campo di sinistra, legata non solo al grande tema dei diritti (male usato dai teorici e politici che puntavano solo su quelli) ma anche a quello dei doveri verso chi ha meno, chi soffre, chi è schiacciato, chi è piccolo, chi è “straniero”, e perfino chi davvero produce, chi si preoccupa dei figli e del futuro e dei figli dei figli e ancor avanti?
E’ solo attraverso un grande esame di coscienza che questo potrebbe avvenire, ma non mi pare che nessuno, tra i politici e gli intellettuali e affini della defunta sinistra, abbia voglia di farlo. Però non è di loro che bisogna preoccuparsi e occuparsi, bensì dei nuovi, di quei giovani che si sono affacciati alla comprensione del mondo negli ultimi tempi, fratelli minori di coloro che hanno venduto la loro intelligenza e la loro curiosità e la loro generosità per il piatto del facile consumo pre-matiscato dai padroni del mondo e dai loro servi e pubblicitari, per una idea di cultura in stile Dams, per l’illusione di essere nel flusso di un domani perennemente affluente e godereccio.

Non fidarsi


Dovessi consigliare a questi nuovi di chi non fidarsi mi viene in mente il vecchio slogan del movement americano: «Diffidate di chi ha più di trent’anni». Ma credo che i più svegli tra loro, e cominciano a essere parecchi, sta già capendo benissimo di chi non fidarsi, e cioè dei “propagandisti”, dei pubblicitari di destra di centro di sinistra che hanno dominato il trentennio, ben protetti dell’oligarchia e dai suoi emissari. Direi loro, però, di prestare molta attenzione, oggi, a quella parte minoritaria del sindacato e della chiesa che ci va offrendo gli unici esempi di resistenza al modello che ha dominato e domina ancora ma che, a causa della crisi, ha perso la sua credibilità se non tra i più gonzi e addormentati. “Uscire dall’apatia” è un invito che nessuno dei trionfatori dello scorso trentennio sembra in grado di recepire, ma qualcuno forse sì, e con loro i nuovi arrivati. La storia si rimette in moto anche qui, e bisogna affrontarla da svegli.


31 ottobre 2010

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